Un logo per il restauro del tetto di Sant’Andrea

Coinvolti gli studenti saviglianesi

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Nel laboratorio “Gre­gory Guar­nieri” dell’Isti­tuto “Cravetta-Mar­­coni” di Savigliano si è svolta la premiazione per la progettazione del logo relativo al restauro del tetto della Chiesa Sant’An­drea a Savi­gliano. Presente il parroco, don Paolo Perolini, gli insegnanti coinvolti nella realizzazione del progetto e le autorità scolastiche.
Nei mesi passati don Paolo aveva preso contatto con la scuola, incontrando il vicepreside Giacomo Celiento. visto che si stava per intraprendere un’importante ope­ra di re­stauro del tetto del fabbricato si è pensato di cercare finanziamenti, anche con donazioni popolari. A tal pro si è deciso di scegliere un veicolo visivo per traghettare la comunicazione, un segno che potesse, in qualche modo, identificare l’azione, un marchio o, detto in altro modo, un logo.
Per farlo, il primo step è stato il reperimento delle informazioni, le prime dalle parole di don Paolo, le altre dalla Storia. Le prime notizie sulla chiesa risalgono al XII secolo e un tempo, com’è accaduto a molte chiese, aveva un orientamento completamente di­verso dall’attuale. Dov’era­no le absidi si è ricavata la facciata, e dov’era la facciata sono state costruite le attuali absidi. È questo il motivo della singolare presenza del campanile affiancato alla facciata. Quella facciata, quasi una quinta, che strapiomba con la sua bellezza sulla stretta via omonima. Don Paolo ha inviato le fotografie fatte da un drone: la vista dell’articolatissima architettura del tetto è risultata indubbiamente visionaria ma, quasi subito ci si è resi conto che non poteva trasmettere alcun messaggio. Quattro in­segnanti (Marco Filippa, Mo­nica Ler­da, Michelle Fedele e Rachele Viti) hanno proposto il progetto a tre classi, due terze e una quarta, dell’indirizzo “Grafica e comunicazione”. L’obiettivo dichiarato era di comunicare visivamente il luogo e l’iniziativa, con l’ausilio di un “claim” (slogan) efficace. Incontri in dad e talvolta in presenza, la metodologia è la stessa: la didattica laboratoriale, che ha eredità lontane (dalla sperimentalità Bau­haus passando per Dewey, piuttosto che per le ricerche del torinese Fran­cesco De Bartolomeis o per il geniale Bruno Munari). Ed ecco affiorare, passo dopo passo, sintesi visive nel segno dell’immediata memorizzazione/identificazione del soggetto visivo. Cro­matismi prelevati dalla facciata o dall’immaginario si­gnificativo di tavolozze che evochino i manufatti artistici: i mattoni, le tegole, l’abecedario architettonico.
Il risultato di tale lavoro è stata la produzione di una cinquantina di elaborati presentati con la volontà di raccontare il progetto, come si deve fare in un concorso, come deve essere chiarito a un committente.
La commissione parrocchiale si è poi riunita per scegliere la proposta ritenuta migliore. Alla fine è risultato primo classificato il lavoro di Elisa Barbero; pari merito i progetti di Francesca Rista, Debora Rolando ed Edoardo Laudani.