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«Nei panni del “duce” mi sono imbattuto nell’Italia peggiore»

L’attore Massimo Popolizio racconta il “dietro le quinte” dei film che lo hanno reso popolare

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Cominciamo dalla fi­ne che, almeno per ora, non è il tea­­­tro. Parliamo di “Go­­­ver­nance”, il film diretto da Mi­chael Zampino visibile su Ama­­­zon Prime Video, in cui lei, Mas­­­si­mo Popolizio, è un ma­­­na­­­ger sen­za scrupoli ai ver­tici di un’industria petrolifera.
«Il film tratta il tema del potere e il mio personaggio è un uo­mo che viene dal basso, si è co­struito da solo, è arrivato ai vertici ma sa parlare a persone di tutte le estrazioni sociali, dal politico al benzinaio, e questo mi offre una gamma di colori e possibilità molto ampia».

Però è tutt’altro che un personaggio positivo.
«È più che altro patetico nella sua ansia di potere e di vendetta. Non è solo corrotto ma è parte di un sistema corrotto che lo fa fuori dall’oggi al do­mani, nel momento in cui la legge si mette di mezzo. Si sente vittima di un’ingiustizia e viene di fatto ricattato da quel­lo che credeva un sodale. Allora diventa un bufalo. Il suo rapporto con il denaro e col cibo è quello di chi ha vuoti affettivi enormi».

Con il traditore, personaggio interpretato da Vinicio Mar­chioni, c’è uno scontro frontale anche fisico, una tensione che sale fino a esplodere.
«Il crescendo di violenza tra lo­ro è un punto di forza del film. Sale la violenza, il desiderio di vendetta, gli intrighi si infittiscono. C’è qualcosa di shakespeariano in tutto ciò».

Shakespeare? Addirittura?

«Non un personaggio in particolare ma uno spirito shakespeariano. Nel senso che c’è sempre una maledizione nel­l’inseguire il potere e a un’a­scesa segue sempre una discesa. Forse il cuore del film sta proprio nella difficoltà di trovare un equilibrio tra verità e giustizia da una par­te e interessi economici dall’altra».

Mi viene in mente “Un nemico del popolo”, lo spettacolo da un testo attualissimo di Hen­rik Ibsen di cui avete interrotto la tournée a causa del “lockdown”.
«“Nemico” infatti metteva in scena il conflitto tra interessi economici di una comunità e la sua stessa salute. Si parlava di uno stabilimento termale e delle sue acque inquinate e del conflitto tra un medico che avrebbe preteso di risanarlo anche a scapito degli introiti e del sindaco del paese, che voleva insabbiare la questione pur di non compromettere le casse del co­mune e gli incassi del ceto medio».

Il rapporto tra interessi e verità era anche declinato co­me rapporto tra maggioranza e minoranza: la verità è solo di pochi?
«“Il nemico più pericoloso della nostra comunità è la maggioranza compatta”, di­ce­va il medico alla fine. E le ragioni della maggioranza non sono di per sé garanzia di giustizia. Così gli interessi di una classe che mirava solo al profitto hanno avuto la meglio».

Sempre più attuale. Il populismo dei nostri giorni. Penso immediatamente a “Sono tor­nato”, il film sul ritorno di Mussolini diretto da Luca Mi­niero uscito nel 2018, dove il “duce” redivivo era scortato per le strade di Roma da un sedicente giornalista che lo credeva un comico. Parlia­mone.
«È un film che fa paura perché parla di noi. Di un Paese che è già populista. Girare per Roma nei panni del “du­ce”, quasi come una candid camera, mi ha messo davanti uno spaccato di Paese impressionante, analfabeta, ignorante, che parla di cose che non conosce. E lo fa con cattiveria, con odio, buttandoti addosso la propria rabbia e insoddisfazione. Gente smarrita che in­contra un attore e invece di ri­volgersi a lui come attore lo tratta come qualcuno che gli possa risolvere i problemi».

In Germania era andata diversamente con “Lui è tornato”, il film su Hitler del 2015 diretto da David Wnendt. Eppure anche in quel caso l’attore che interpretava il “Führer” girava per le strade di Berlino.
«Infatti. Lì lo guardavano con diffidenza, qui a Mussolini chie­devano un selfie».

Aiuto… Cambiamo aria e parliamo invece di Giovanni Fal­cone di “Era d’estate”, il film di Fiorenza Infascelli che fo­tografava i venticinque gior­ni in cui Falcone, appunto, e Bor­sel­lino (in­terpretato da Giu­sep­pe Fio­rello) con le ri­spet­tive fa­mi­glie sono stati iso­lati al­l’Asi­nara per scrivere la sentenza del maxiprocesso di Cosa Nostra.
«Avevo molta paura di interpretare quel ruolo, molto pu­dore. La preparazione è stata spirituale, molto più che fisica. Ho letto i suoi libri e quelli su di lui. E non ho voluto cedere a una metamorfosi fisica. Ho lavorato sulla sua sicilianità cercando aspetti inediti, meno retorici, più leggeri come raccontare barzellette, scherzare».

Rincorrere la metamorfosi fi­si­ca è sempre un errore? Pen­so anche a ruoli come Vit­torio Sbardella de “Il divo” di Paolo Sorrentino in cui mi sem­brava accuratamente evi­tata.
«Cercare la mimesi fa molto fiction e il cinema e il teatro sono altra cosa. Per me la possibilità di non essere legato al­la mia faccia è un’opportunità. E quando mi avvicino a un personaggio cerco di sapere be­ne cosa non devo fare, pri­ma ancora di cosa devo fa­re. Se evito quello, il resto ar­riva, si mette in mezzo».

Personaggi buoni e personaggi cattivi: cosa succede all’interprete.
«L’attore non deve mai giudicare il personaggio, anzi lo de­ve affrontare partendo dal­la sua necessità interna, senza preoccuparsi di rincorrere il consenso. Se è cattivo, deve cavalcare la cattiveria. Cioè fare quello per cui è pagato».

Dando uno sguardo all’attualità “oltre la finzione”, hanno di recente riaperto i teatri. Cosa ci attende?

«Io riprendo “Furore”, lo spettacolo dal romanzo di John Steinbeck che ha debuttato poco prima del “lockdown”. Un lavoro a cui tengo molto dove sono in scena insieme a Giovanni Lo Cascio alle percussioni per raccontare un pezzo di storia americana che incredibilmente racconta di noi, oggi».

Articolo a cura di Alessandra Bernocco

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