Sono le 12 di un venerdì qualunque. Qualunque per quasi tutti, non per Enrico Mentana: da un momento all’altro, potrebbe trovarsi nel bel mezzo di una delle sue famigerate (e apprezzate) “maratone”. Per fortuna della nostra intervista lo troviamo in un momento di relax. È a casa, appena rientrato da una passeggiata con i propri cani.
Mentana, per noi albesi la domanda è d’obbligo: i suoi cani hanno fiuto per il tartufo bianco d’Alba?
«Non saprei dirglielo, qui a Roma non ho occasione di metterli alla prova… (ride, nda)».
Non li ha mai portati con lei in Piemonte?
«No. In occasione di quei viaggi preferisco lasciarli a casa. Quando mi reco a visitare le vostre colline, che conosco bene e apprezzo molto, mi concentro sulle eccellenze enogastronomiche!».
Celata, il suo fidato cronista, si perderebbe nelle Langhe?
«Di sicuro! (ride, nda) Già si è lasciato disorientare da un rave party organizzato dai romanisti per festeggiare l’arrivo di Mourinho…».
Già, Mourinho… Da interista che effetto le fa vederlo alla Roma?
«Sono contento per lui e la Roma. Fa parte della storia dell’Inter, ma non si vive di nostalgia né di ricordi, per quanto possano essere belli… Quelli legati a lui, in effetti, sono straordinari. E, comunque, la storia del calcio è fatta di “passaggi”, basti pensare ad Antonio Conte».
Saranno animati i pranzi di famiglia, visto che suo fratello Vittorio, ex responsabile della comunicazione del Milan, è tifoso rossonero…
«Ha un anno in meno di me e vedendo il fratello maggiore tifare Inter, per poter affermare la propria individualità ha optato per l’opposto… (ride, nda). Battute a parte, il sentimento di fratellanza e solidarietà che unisce tra loro gli appassionati di calcio è il valore aggiunto di questo sport».
È stato vostro padre, il giornalista sportivo Franco Mentana, a trasmettervi la passione per calcio e notizie?
«Per quanto riguarda il calcio non direi: siamo cresciuti in un’epoca in cui il calcio era quasi più seguito di oggi. Negli anni ’60 non c’era bambino che non collezionasse le figurine dei calciatori… Sul fronte professionale, il fatto che nostro padre fosse giornalista ha probabilmente influito sulle nostre scelte».
A poco più di vent’anni l’esordio in Rai. Era pronto?
«Non è una questione di età. Contano preparazione, passione ed entusiasmo. Ammetto, però, che quella che ho avuto è stata una grandissima opportunità. Non capita a tutti…».
Nemmeno di essere chiamati, poco più che trentenni, a creare e guidare il telegiornale alternativo al Tg1…
«Confermo: il Tg5 è stata l’occasione della vita. Mi hanno scelto per costruire un tg dal nulla. E non un tg qualsiasi, ma il principale competitor del Tg1. È stato sicuramente, per me, un grosso colpo di fortuna; ho colto l’occasione dando il meglio di me stesso in ogni attività, dalla creazione della squadra all’introduzione di servizi all’epoca innovativi, quali il tg online e le trasmissioni a tema. Poi è arrivato “Matrix”: una nuova sfida che mi ha portato a confrontarmi con la conduzione di un programma dedicato all’approfondimento. Una novità assoluta per me».
Con Mediaset, però, non finì benissimo: le sue dimissioni dovute alla mancata riprogrammazione del palinsesto dopo la morte di Eluana Englaro hanno fatto scuola.
«La verità è che ai margini dei grandi fatti storici succedono sempre tante piccole cose. La terribile vicenda Englaro, che sconvolse l’opinione pubblica, ha una portata immensa, nemmeno lontanamente paragonabile al fatto personale che mi ha riguardato».
Quella volta si diede la priorità al “Grande Fratello”, che oggi continua a essere una trasmissione molto seguita. Cosa ne pensa?
«In senso assoluto, non mi dà fastidio che esistano programmi televisivi del genere, se è quello che vuole chiedermi. Nell’epoca della tivù “on demand”, è l’utente a scegliere cosa, come e quando guardare».
Le sue “maratone” con il Tg La7, intanto, vengono scelte da sempre più persone…
«La “maratona” è forse la cosa più facile da fare. È l’attività giornalistica in sé, nel quotidiano, a richiedere uno sforzo notevole. Bisogna avere i bioritmi alti e non essere svogliati. Mai. Non siamo dei pittori che, tra un quadro e l’altro, possono permettersi di posare il pennello per qualche istante. Il giornalista deve sempre essere sul pezzo, con costanza, un po’ come fanno i vostri vignaioli con le loro viti. I giovani, purtroppo, faticano a comprenderlo».
A proposito di giovani, è soddisfatto di come stanno portando avanti Open?
«Non ho fondato quel portale per fare una rivoluzione, bensì per saldare un debito nei confronti, soprattutto, dei giovani di oggi, visto che io sono stato molto più fortunato di loro. Averne assunti 25 significa che l’obiettivo primario è stato centrato. A ciò si aggiunge la soddisfazione per i consensi crescenti che sta incontrando la testata, sempre più diffusa e fruibile da ogni piattaforma. Sono fiducioso».
È fiducioso anche per il futuro del nostro Paese?
«Come non esserlo? Ci sono i vaccini e l’Italia sta per essere inondata da 250 miliardi di euro. Chi ha pagato il prezzo più alto della pandemia va ancora aiutato, ma sono sicuro che, se tutto andrà per il verso giusto, tra fine primavera e inizio estate anche i settori oggi maggiormente in difficoltà vivranno un boom significativo, più utile di qualsiasi ristoro».