Il Tiro a Segno Nazionale di Bra è una realtà interessante per il territorio, non solo dal punto di vista sportivo, ma anche storico. Percorsi istituzionali e sportivi, con ancora un po’ di diffidenza da sconfiggere. Negli anni vi sono state modifiche importanti alla struttura: le più significative sono lo stand di tiro a 25 metri del 1988, il poligono “indoor” a 10 metri risalente al 1992, la ricostruzione della tettoia sulle linee di tiro 50 metri, andata persa nell’incendio del primo luglio 2007. Il direttivo è guidato dal presidente Pier Biagio Rivetti. Con lui il vicepresidente Luciano Tuninetti e i consiglieri Lamberto Lussana, Massimo Polonara, Giuseppe Terreno, Antonella Maunero (segretaria); Claudio Barbero è rappresentante degli atleti mentre Piero Boffa dei tecnici. Insieme al presidente conosciamo meglio il poligono di corso Monviso.
Presidente Rivetti, quando si è avvicinato al Tiro a Segno Nazionale di Bra?
«Nel 1964, una vita fa! Sono entrato come tiratore e ho fatto diverse gare. In seguito sono diventato istruttore , mi sono dedicato a seguire i tiratori. Sono poi entrato nel Direttivo come consigliere, quindi ho assunto la carica di vicepresidente. Da 4 anni sono presidente e il mio mandato scade a ottobre 2021».
Ci parli del lavoro da presidente.
«Il lavoro è sempre tanto. Il poligono occorre, come si dice in gergo, tenerlo in piedi e non è uno scherzo. Quando si ha una responsabilità totale su tutte le attività e su tutta la struttura, occorrono grande impegno e serietà».
Che realtà è la vostra?
«Parlando del 2020, noi contiamo 440 iscritti obbligati (il servizio armato, Polizia locale, guardie giurate, servizio portinerie, ndr), 350 volontari, che sono i soci effettivi che vengono da noi a sparare. Alla nostra realtà si affacciano appassionati i tiratori esperti, ma anche coloro i quali vogliono provare per la prima volta. Ovvio: ci sono i corsi e abbiamo degli istruttori molto professionali. C’è chi viene per divertimento e chi per migliorarsi».
Come state affrontando la pandemia?
«Durante il “lockdown” della primavera scorsa siamo rimasti chiusi. Durante recenti zone rosse, invece, eravamo a disposizione solo per l’attività istituzionale e cioè i Dima (Diploma di idoneità maneggio armi, ndr). I soci non hanno potuto recarsi al poligono. Con la zona arancione c’è stata l’apertura anche ai soci, ma solo a quelli braidesi e poi l’apertura totale, con la zona gialla. Come da direttiva dell’Unione Italiana Tiro a Segno (Uits), la sezione di aria compressa è chiusa al pubblico, perché “indoor” non possiamo far sparare».
Voi avete, anche, una squadra sportiva.
«Sì! Nella carabina aria compressa 10 metri, pistola aria compressa 10 metri, carabina 50 metri, pistola automatica 25 metri. Nell’aria compressa abbiamo due giovani molto interessanti e abbiamo vinto un titolo piemontese. Nella categoria a fuoco, abbiamo ottenuto un secondo posto ai Regionali e poi partecipato ai Nazionali. La squadra è limitata numericamente, perché i giovani che sparano non sono molti. Noi contiamo 15 atleti nella parte sportiva».
Ci sono, ancora, pregiudizi da abbattere in merito alla vostra pratica sportiva, vero presidente?
«Purtroppo ci sono ancora. L’opinione pubblica pensa che in un Tiro a Segno succedano chissà quali cose! Parlando della realtà braidese, vengono da noi persone normalissime e appassionatissime! Ragazze, donne, famiglie, coppie di fidanzati, solo per farle degli esempi. Non è un luogo diseducativo, anzi! C’è la parte sportiva e c’è la parte istituzionale. Il Tiro a Segno è una disciplina olimpica».
Come poterli abbattere?
«Vi invito e invito le persone a venire da noi in corso Monviso a Bra. Si respira un’aria pulita e serena. Varcata la nostra porta, cadono tutti i pregiudizi. Ci sono le vetrate, puoi vedere chi spara. Tutto in massima sicurezza e nella massima tranquillità. La nostra selezione di tiratori e soci è rigida, quindi è un ambiente sano e costruttivo. Le teste calde non ci sono!».
Che legame avete con Bra?
«Un rapporto molto costruttivo, le Amministrazioni sono sempre state attente. In pochi, ancora oggi, ci conoscono. Ci sono braidesi che non sanno dove ci troviamo. Quindi, vi aspettiamo!».