«Gli artisti? Spariti ma io non mi fermo»

Red Ronnie: «La vera musica annientata dal potere economico e politico. La speranza è donna»

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Quanto è cambiata la musica, e il mondo tutto intorno, ne­gli ultimi trent’anni? Così tanto che si potrebbero fare mille considerazioni. E non c’è probabilmente un interlocutore più qualificato di Red Ronnie per rispondere a questa domanda. E allora gli abbiamo chiesto direttamente una risposta, per IDEA. «Gli artisti avevano un’altra importanza», ci ha detto, «e la musica aveva le sue star. Si discuteva continuamente di musica, al contrario di oggi, c’era cu­riosità per nuove uscite e nuovi interpreti. La musica aveva un’importanza anche sociale».

Red, da dove cominciamo?
«Dalla fine degli anni ’60, do­po la guerra del Vietnam. E poi dal punk che divenne l’argomento più importante per tutti i ragazzi di quel periodo. Un movimento che nacque in contrapposizione a un vecchio potere, a quel­l’Inghilterra che non poteva piacere ai giovani, alla Tatcher. Erano altri tempi, da noi c’erano le Brigate Rosse, poi il boom economico di metà anni ’80».

Furono le premesse per uno scenario pieno di proposte musicali tutte nuove?

«Dopo la protesta punk, cominciarono le sperimentazioni della new wave, dell’elettronica e poi dei grandi concerti come Live Aid e degli eventi a Sun City. Furono grandissimi mo­menti di confronto».

Perché oggi quella musica sem­bra così lontana?
«Perché si è voluta togliere gradualmente ma inesorabilmente importanza agli artisti musicali, svilendo il valore della musica fino a proporla gratis».

Non è stata solo una “legge di mercato”?

«È stata una scelta ben precisa messa in atto dal potere economico e politico. Quel­li che un tempo erano veri e propri eroi sono stati nel tempo sostituiti da altre figure, neanche paragonabili. La svolta avvenne con Paris Hilton, il cui unico merito nel suo video d’esordio fu quello di mostrare le gambe aprendo la portiera di un’auto di lusso. Tutto è cominciato così».

Intende dire che da lì arrivano poi gli attuali nuovi idoli musicali?

«Non solo musicali, perché quelli negli anni sono stati sostituiti dai calciatori, dagli youtuber e dagli in­fluencer. La musica è uscita di scena e c’è stata un’atrofizzazione degli artisti, tut­ti ormai esclusivamente as­serviti al culto dell’ego. “La stanza degli specchi”, come il titolo del libro su Jimi Hendrix…».

Quindi oggi non ci sono più gli artisti?
«Dove sono? Non esprimono malessere, non c’è protesta. Significa forse che va tutto bene? Non mi pare. Il potere economico e politico li ha spenti. Qualche eccezione? Non ne trovo, non certo tra i giovani, forse tra i più vecchi come Enrico Ruggeri».

Non mi dica che oggi gli anziani soffiano sul fuoco e i giovani sono pompieri?
«Si sono capovolti i ruoli, proprio così. Sembrano ri­bellarsi ma in realtà non si oppongono a nulla. Noi saremmo i “boomer”, ma loro non riescono a uscire da questo sistema».

Viviamo in un mondo che non concede più piena libertà di espressione?
«Non credo che quella at­tuale sia una vera democrazia».

Ci guardiamo bene, allora, da chiederle che cosa pensa della pandemia e torniamo ai giovani: possibile che non ci siano segnali di rinascita musicale?

«Io una volta gli emergenti li andavo a trovare e continuo a farlo. Prima nascevano ovunque nuovi gruppi, negli anni ’80 partivano dalle cantine e arrivavano al top. Ricordo di aver dato spazio ai primi Negramaro e poi di averlo fatto con tanti altri emergenti nelle mie trasmissioni, da “Roxy Bar” fino alla recente “Fiat Mu­sic”. Ora li intervisto, li faccio parlare e cerco di metterli in evidenza su Optima­ga­zine con “I have a dream”, uno spazio web che non ha paragoni nello scenario attuale. Oggi non si fa più scouting nella mu­sica perché non rende, sono scomparsi i produttori. Si passa solo dai talent show e nei locali suona solo chi fa le cover».

Non abbiamo speranza?
«Lo credevo anch’io, invece mi sono reso conto che qualcosa si muove. Forse una nuova generazione riuscirà a imporsi, nonostante tutto. Rivedo segnali di ta­lento. E sono soprattutto le donne a guidare questa nuo­va scena».

Ci dica qualcosa su Franco Battiato che lei aveva conosciuto direttamente.
«Ne avevo avuto l’opportunità fin dagli anni ’80. Sono stato più di una volta a casa sua, a Milo, in Sicilia. L’ultima volta per presentare una sua rassegna al teatro di Milo. Ho il ricordo di splendide interviste. Il più grande poeta spirituale che abbiamo avuto in Ita­lia, ben oltre il cantante. Lui è stato un personaggio spirituale».

Con “La voce del padrone” ha inventato il pop italiano e poi ha sperimentato diversi territori…
«È partito dagli anni ’60, ha creato sperimentazioni che lui stesso in seguito aveva de­finito inascoltabili. Quan­do decise di cambiar musica mi disse: ora ho bisogno di fare un po’ di soldi. E così fu. Poi tornò a sperimentare, come voleva».

Lei ha frequentato la musica in ogni dettaglio e con diversi ruoli. Quale ama di più: quello del giornalista, del presentatore…?

«Quello dell’ascoltatore. Io sono uno che prima di tutto ascolta musica. Facendo così ho incontrato idoli, grandi talenti. L’aspetto più bello è stato frequentare questo mondo da appassionato».

La musica oggi è online e va veloce, una volta si acquistava un Lp e lo si ascoltava con le cuffie tutto intero. Non succederà più?
«Non è detto, Renato Zero un anno fa ha pubblicato tre album inediti tutti insieme. E a proposito di Battiato, me­rita di essere seguito Giovanni Caccamo, allievo del “Maestro”, che è appena uscito con “Parole”, un concept album. Questa è stata una vera e bellissima sorpresa. Un album dedicato a un tema è una cosa che ormai consideravamo fuori dal tempo. E invece c’è un ritorno. Sì, possiamo sperare. Io continuo a cercare».