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Una foto di 17 anni

di Denise pipitone si parla ancora. Più di tanti altri piccoli svaniti nel nulla perché affiorano segnalazioni che non alzano veli sul mistero, anzi ne stendono nuovi, che paiono carezze e diventano pugni, perché ogni volta la speranza non si discosta più di tanto dal tumulto emotivo

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L’immagine è quella diffusa nelle prime ore di angoscia e di speranza, quando, cercando di farsi coraggio, una mamma, una famiglia, un paese ripetevano ch’era solo un nascondino: aspettavano, in cuor loro, che Denise sbucasse piangendo, spaventata ma incolume, da un nascondiglio. La piccola scomparsa, nell’immagine, ha i codini castani, il sorriso nello sguardo, un graffietto sulla guancia: ha quattro anni ed è davanti casa quando il nulla l’inghiotte, il primo settembre del 2004. Quell’immagine è ancora impigliata nei nostri occhi, i media la ripropongono sempre, e capita quasi di non riflettere sul tempo passato, sul volto di donna ormai sovrapposto ai tratti infantili. Cerchiamo una bambina e quasi scordiamo che non c’è più. Sia che nel nulla l’abbia ricacciata un orco o un incidente scritto dal destino, sia invece che ami, rida, studi o lavori da qualche parte, senza memoria di un passato rubato, con un nome e una famiglia nuovi, strappata per vendetta o cattiveria o chissà cosa.

Diciassette anni, ma di Denise parliamo ancora. Più di tanti altri piccoli svaniti nel nulla e ai quali, come ogni anno, è stata appena dedicata una giornata, voluta per sensibilizzare il mondo e per far sentire vicinanza a genitori amputati nell’anima. Di Denise si parla perché affiorano segnalazioni che non alzano veli sul mistero, anzi ne stendono nuovi, che paiono carezze e diventano pugni, perché la speranza che riaffiora, cullata a volte dal cuore più che dalla ratio, aumenta il dolore antico, sempre rimasto dentro mamma Piera, che tutti conosciamo per la tenacia con cui insegue la verità, accettando l’aiuto di riflettori che eviterebbe, e di papà Pietro che invece è più schivo, lotta senza esporsi con la stessa ferita dentro, che con Piera aveva avuto una relazione extraconiugale e l’amava e l’ama, infatti oggi è suo marito. Ma anche di papà Toni, che ha cresciuto la bimba come fosse sua, che ha scoperto di non essere padre biologico solo dopo la scomparsa e che non ha mai smesso di considerarla sua figlia. Non ci permetteremmo di frugare nell’intimità delle persone, ma dobbiamo farlo perché le indagini non hanno trascurato l’intrico di affetti, scandagliando anche le possibili gelosie tra due famiglie sgretolate da un sentimento nuovo. L’ultima speranza, per chi non ha dimenticato Denise, l’ha accesa una ragazza russa che sembrava essersi riconosciuta nella piccina scomparsa, ma gli esami del Dna hanno demolito ogni illusione. E immaginate lo spossamento emotivo di chi da diciassette anni vive nel tumulto, aggrappandosi a liane di fiducia che si spezzano ogni volta. La consolazione è che dopo anni, tra testimonianze che si rinnovano, presunti avvistamenti, segnalazioni infinite (l’ultima in Ecuador), tenendosi de­sta l’attenzione, la Procura ha deciso di riaprire indagini. E nelle ultime ore un supertestimone che asserisce di aver visto Denise poche ore dopo la sparizione, disperata in un’auto, ha trovato il coraggio di fare i nomi delle persone a bordo, che conosceva. Cre­pe nell’omertà. Attese da sempre perché è impossibile che nessuno sappia. E la coscienza, a volte, ha solo bisogno di tempo per vincere la paura. Crepe che si spera possano dare una risposta a chi soffre, far sapere se quella bimba è una ragazza da riabbracciare o almeno dove portare un fiore. Perché perfino questa seconda, terribile, tragica possibilità può dare un filo di pace dopo anni vuoti, senza verità.

BaNNER
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