Al cinema è Giovanni Comini, controllore del poeta vate

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Chi ha messo piede anche una sola volta alla Quinta Praticabile, la scuola genovese frequentata da Francesco bambino, non può non rintracciare un filo rosso tra quell’ambiente e il Vittoriale. Non è un’eresia: è l’incantamento che si prova di fronte alle cose quando le cose sono anime che raccontano storie, e le storie altre storie. È il respiro della memoria che alita sui mobili, le suppellettili, i burattini, i manifesti incorniciati, la collezione di campanelli, il cavallino a dondolo e poi quadri, lampadari, specchi, statue, porcellane, cristalli, clessidre e libri, tanti libri sui quali il D’Annunzio di Castellitto si è lasciato morire. «Un museo di continue sorprese», dice Francesco, «dove niente è prevedibile e tutto è straordinariamente vivo. Dove l’abbraccio del poeta è tangibile e le tracce del suo passaggio una fonte inesauribile di energia. Io l’ho vissuto con gli occhi di Giovanni dicendo a Francesco di non lasciarsi distrarre». Casomai di rispondergli a tono quando era lui stesso a interpellarlo. «Perché il Vittoriale è una presenza vera e propria e quando ti dà la battuta non puoi non rispondere».