Ha gareggiato contro alcuni dei più grandi piloti di Formula 1, riuscendo, in sei occasioni, a conquistare il gradino più alto del podio e, nel 1992, ad aggiudicarsi il secondo posto assoluto nel Campionato Mondiale Piloti. Bastano queste statistiche, estremamente sintetiche e per nulla esaustive di una carriera tanto longeva quanto straordinaria, per comprendere come Riccardo Patrese rappresenti un’autentica leggenda del motorsport. Nei giorni scorsi, il campione padovano ha raggiunto le Langhe per partecipare, come ospite, all’appuntamento organizzato al Relais San Maurizio di Santo Stefano Belbo da Alambicco Academy, realtà di riferimento nell’ambito dell’innovazione e della digitalizzazione delle imprese fondata da Gabriele Zanon. Era presente anche IDEA che, grazie alla disponibilità degli organizzatori, ha colloquiato con l’ex pilota.
Riccardo Patrese, da Padova a Santo Stefano Belbo in quanto tempo?
«All’altezza di Desenzano del Garda abbiamo trovato parecchio traffico. E poi c’erano diversi cantieri e deviazioni. Senza quegli “imprevisti” sarei sicuramente arrivato prima… (ride, nda)».
L’impatto con le Langhe e il Monferrato: conosceva questi luoghi?
«Ho scoperto il vostro territorio di recente: devo ancora conoscerlo a fondo ma sono già rimasto colpito dalla bellezza dei paesaggi, estremamente scenografici! Ci sono vigne ovunque, il vino la fa da padrone…».
In quale veste la troviamo?
«Tramite alcuni amici imprenditori sono stato invitato a questo interessante appuntamento. Stiamo sviluppando un progetto legato al desiderio di mio figlio Lorenzo di diventare pilota…».
Proprio come il papà…
«Guardi, mi sono dovuto adeguare alla sua volontà…».
Non era quello che immaginava per suo figlio?
«No, per nulla… Quando ho terminato la carriera agonistica, ho provato a seguire da vicino gli altri che correvano… Ma la cosa non mi appassionava particolarmente. Così, mi sono dato… all’equitazione! Grazie a questa disciplina ho pure incontrato e conosciuto la donna che è diventata mia moglie. Dico questo per farle capire che in casa si parlava solo di cavalli… a quattro zampe».
Prosegua…
«Avendo i cavalli a casa, anche Lorenzo si è appassionato e a sei anni era già in sella. Negli anni ha sviluppato una buona tecnica tanto da raggiungere posizioni di vertice nelle classifiche nazionali e da meritarsi le attenzioni della Federazione, che lo ha fatto gareggiare pure al Campionato d’Europa Giovanile in Francia».
Poi cos’è successo?
«Aveva all’incirca dieci anni. Un giorno, all’improvviso, mi chiese di poter provare un kart…».
E lei cosa rispose?
«In modo non particolarmente incoraggiante… Gli diedi una risposta negativa».
Perché?
«Fino ad allora non lo avevo immaginato pilota. È anche per questo che non gli avevo mai parlato delle corse, ma solo di cavalli…».
Poi, però, fece retromarcia…
«Gli consentii di guidare un kart per un semplice motivo: pensavo che non sarebbe stato competitivo, almeno non da subito, visto che, comunque, fino a quel momento, era soltanto andato a cavallo. Invece…».
Invece ha la stessa stoffa del papà e ha stupito…
«Passo dopo passo ha iniziato a fare bene, molto bene, anche con i kart e ha voluto proseguire…».
Cosa significa essere piloti?
«Significa dedicarsi interamente a questa passione, ogni giorno, per dodici mesi l’anno…».
Non lo considera un lavoro…
«Chi intraprende la carriera di pilota non lo fa pensando al fatto che un domani questo hobby potrebbe trasformarsi in un lavoro, magari anche ben retribuito. Lo si fa esclusivamente per passione Senza passione, infatti, sarebbe impossibile assumersi certi rischi e superare certe esitazioni che, inevitabilmente, si presentano praticando questa attività. Nel motorsport nulla è scontato, gli imprevisti sono dietro l’angolo e solo se c’è motivazione si può dare il massimo. Insomma, per essere piloti bisogna avere una fiamma accesa dentro che va sempre alimentata».
Con passione, e anche tanti sacrifici, ha raggiunto l’Olimpo della Formula 1. La gioia più grande?
«Dico i sei Gran Premi vinti in Formula 1, perché salire sul gradino più alto del podio è il coronamento di un lungo percorso, ma dico anche le tante vittorie nelle categorie minori e nelle gare di kart che, in termini emozionali, valgono quanto i successi in Formula 1. Custodisco tantissimi ricordi, tutti vivi e bellissimi».
Nemmeno un rammarico?
«Mi sarebbe piaciuto correre per la Ferrari: in più di un’occasione, ci sono andato vicino, ma non lo definisco comunque un rimpianto. Non sono nemmeno rammaricato per il secondo posto al Mondiale del 1992. Sono soddisfatto della mia carriera. E poi sono ancora vivo e tutto intero, cosa non scontata visto che all’epoca correvamo in condizioni abbastanza pericolose».
Il sogno è vedere suo figlio vincere il Mondiale?
«La strada per affermarsi come pilota è molto lunga e incerta… Quindi, è bene che prima si concentri a conseguire il diploma! (ride, nda)».