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«Dedico i miei ultimi anni a diffondere il sale delle idee»

A 92 anni il fossanese don Pino Pellegrino fa ancora opera di evangelizzazione, anche su Fb

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Don Pino Pel­le­grino continua a scrivere “l’ultimo libro della sua vita”, dal momento che sono già almeno 5 o 6 i volumi a cui il sacerdote fossanese 92enne ha affibbiato tale etichetta. Il più recente, non ancora pubblicato («la mia eredità, che regalerò a tutti», chiosa il diretto interessato), ha come titolo provvisorio “200 pensieri virali con­tro l’imbarbarimento del­l’uomo”.

Non una bugia bella e buona, quella dell’ultimo libro che non è mai davvero l’ultimo, piuttosto una piccola scaramanzia per continuare a fare quello a cui più tiene: evangelizzare.
Un compito che don Pino Pellegrino, laureato in Fi­lo­sofia Teoretica all’Università Catto­lica di Milano con il professor Emanuele Severino (di cui sarebbe dovuto diventare assistente, se non avesse ob­bedito alla chiamata del suo Vescovo, tornando a Fossano per insegnare) persegue sotto molteplici forme. Autore di ol­tre 300 pubblicazioni, il sacerdote ha il suo pulpito tra le panchine del viale davanti al Seminario Ve­scovile di Fos­sano dove vive, ma anche su Facebook, dal momento che i suoi video-interventi sulla pagina “Sei di Fossano Se” sono molto seguiti.
«Oggi ho due parrocchie: quella tipografica e quella digitale», spiega a riguardo don Pino. «Par­lo molto volentieri su Fa­cebook e lo farò ancora, in mo­do deciso e chiaro».

Questo colpisce dei suoi interventi: dimostra di sa­­­per usare il linguaggio a­datto.
«A oltre 90 anni mi sforzo di parlare in modo concreto, adeguato ai tempi. Oggi come oggi, dopo 6 secondi si perde l’attenzione dell’interlocutore; bisogna usare frasi corte, parlare con passione e credendo in quel che si dice. È necessario presentare il messaggio di Cristo in modo affascinante, trovare il modo affinché la nostra buona novella diventi anche gradita novella, utilizzando un linguaggio frizzante, rapido, sintetico; non brodoso e lagnoso come certe omelie, talmente obsolete che si sa­rebbero potute sentire già ai tempi dei Sumeri».

A oltre 90 anni si è anche spe­so per far na­scere la casa editrice Sanpino (di cui parliamo nel box). Perché?
«Oggi ci sono diverse emergenze: quella energetica, quella demografica e quella pedagogica, ma la base di tutto è l’emergenza dei cervelli. La nostra casa editrice è nata con l’obiettivo di seminare idee e diffondere sale, il sale della sapienza e non della tecnica».

Cosa differenzia sapienza e tecnica?
«La tecnica ci dà i mezzi, gli strumenti; la sapienza ci dà il fine. La tecnica ci dice come fare per arricchirci, la sapienza ci fa porre questa domanda: “ha sen­so diventare l’uomo più ricco nel cimitero”?»

Dicevamo dei cervelli…

«Il cervello dell’uomo di oggi è ammalato; risulta ingolfato, disorientato e infettato. L’aria è piena più di messaggi-spot che di ossigeno; abbiamo perso la bussola per capire cosa è bene e cosa è male. Inoltre soffriamo di tre infezioni: prendiamo il “mi piace” come verità; pensiamo basti apparire per essere e, infine, riteniamo che sviluppo e progresso siano sinonimi».

Ce n’è da fare insomma…

«Gli ultimi anni della mia vita voglio consacrarli a diffondere sale, non miele. Stiamo dan­do un messaggio troppo o­vat­tato; nel Vangelo non si parla mai di miele, ma sempre di sale. Sanpino è una casa che crede nelle idee. La Chiesa è in affanno, anche perché ha smesso di pensare, come diceva il cardinale Martini; oggi, invece, è necessario pensare più che credere; investire sui cervelli. La ragione, poi, giustifica la fede in gran parte, la sostiene e la motiva».

Su che cosa puntare, quindi?

«Sull’umanizzazione dell’uomo. Uomini si nasce, umani si diventa. Oggi l’uomo è degradato: se vogliamo salvarlo, dobbiamo trovare la medicina giusta che è la Cristo­te­ra­pia. Gesù è l’uomo perfetto, riuscito. Come diceva un filosofo a­teo come Friedrich Nietzsche: “Da Cristo in giù è solo pianura”».

Si trova bene in provincia?
«Mi sento spesso una voce nel deserto. La persona con cui mi trovavo meglio era don Derio Olivero, ora vescovo di Pi­ne­rolo. Mancando lui e altri preti anziani, mi sento più solo. Ecco perché scrivo e parlo su Fa­cebook: giustifico il mio esistere, finché vivo. A me piace pensare di poter ancora fare qualcosa, d’altronde il senso della vita è giovare a qualcuno, aiutare e spero di farlo negli ultimi anni offrendo idee e spargendo sale».

Com’è la sua giornata tipo?
«Mi sveglio alle 4, dico il breviario, celebro la Messa e poi continuo a scrivere immerso nel silenzio del viale sullo Stura, con gli uccelli che vengono a mangiare le briciole di pane sul mio davanzale. L’altra sera ho la­sciato la finestra aperta e un co­lombo ha dormito in camera mia. Non me ne sono accorto sino al mattino, quando ho acceso la luce e lui ha iniziato a svolazzare nella stanza. Mi sono preso una paura…».

A parte delle presenze inattese come in questo caso, ha paura di qualcosa?

«No, neanche di morire. Chiedo solo altri 15 anni di vita (ride, nda). In realtà, ringrazio di aver sofferto moltissimo nell’infanzia. Trop­po benessere uccide l’essere».

Come terminano le sue giornate?

«Di pomeriggio mi siedo sulla panchina del viale, dove passa tanta gente. Sovente si ferma qualcuno con cui parlo, discuto e rido: sono le ore più belle della giornata. Vado a dormire verso le 22, non prima di un’ultima uscita su Viale Mellano. Ormai siamo un gruppetto di persone che si incontra per due chiacchiere e un saluto, prima di mettersi a letto».

Sono tante le persone che le dimostrano grande affetto…

«Tante, è vero. Non tutte, però. Alcune non mi vogliono bene per nulla. Ma io non me ne preoccupo, perché anche nel Vangelo si dice: “Guai, quando tutti diranno bene di voi”.

BaNNER
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