«Quanto tempo mi può dedicare? Perché, sapendo del suo legame con le Langhe, una domanda a riguardo non posso non fargliela…», gli domandiamo. Risposta: «Delle Langhe posso parlare anche per otto ore di fila. Mia madre è di Monforte; mio nonno, laziale, ha fatto il capo partigiano in Langa. Lì ho vissuto l’alluvione del 1994, ho preparato la maturità e gli esami universitari, lì sono tornato nei periodi bui per trascorrere qualche giorno di serenità e riprendermi. La Langa è il mio primo amore, la considero il mio paradiso. Di quel territorio ho visto la trasformazione e la crescita. Negli anni ‘80, quando ero piccolo, le Langhe non erano questo tesoro enogastronomico e turistico. Ho visto come una pietra grezza sia diventata un gioiello».
Quella di Daniele Bellasio, attuale direttore del quotidiano lombardo La Prealpina è una dichiarazione d’amore in piena regola, che vale doppio tenendo conto del fatto che, come dimostra tutta la sua carriera, il giornalista non parla mai a sproposito.
Daniele, lei ha già ricoperto importanti incarichi in diverse testate nazionali, ma da qualche mese, per la prima volta, è direttore. È un’emozione particolare?
«Il ruolo di direttore impone una responsabilità maggiore che interpreto anche con spirito di servizio e come occasione di confronto con i lettori e i colleghi della redazione. Con loro cerco di fare tesoro degli insegnamenti che mi hanno lasciato i quattro direttori, piuttosto complementari e di alto livello, che ho avuto nella mia carriera».
Ovvero?
«Vittorio Feltri, Giuliano Ferrara, Gianni Riotta e Mario Calabresi. Ognuno di loro mi ha fatto innamorare di una specifica parte della professione e mi ha insegnato qualcosa del ruolo di direttore».
Posso chiederle il dettaglio del contributo di ognuno dei quattro?
«Feltri mi ha insegnato che il lettore è sempre più intelligente di te, va rispettato e anche capito; è lui che ti guida. Vittorio ha una straordinaria capacità di intuire con la pancia i suoi lettori e i lettori in generale».
Ferrara?
«Sono stato 10 anni con lui, mi ha preso da praticante e alla fine ero il suo vicedirettore esecutivo. Ne avrei mille di cose da dire, ma su tutto mi ha colpito la capacità di analisi e anche, in qualche modo, di analisi preventiva».
Riotta, invece?
«Riotta mi ha insegnato la complessità delle cose. Quando fai il giornalista non devi pensare che le questioni siano semplici, sennò non sei curioso e ti accontenti della prima impressione. Ma nel 99 per cento dei casi le cose sono più complicate di quanto sembri a prima vista».
Da lettore questa qualità l’avrei ascritta a Calabresi…
«Calabresi assomiglia a Riotta, in effetti, ma di lui mi ha colpito in maniera particolare l’empatia nel lavorare e nel raccontare. Lui è come appare, lavora come scrive e nei giornali contemporanei dimostrare capacità di comprensione, sia dei colleghi che dei racconti da fare ai lettori, è una dote importante».
Ora da direttore si occupa sia di carta che di web. Come sono i rapporti tra le due realtà?
«Tutta la mia carriera, anche per una questione anagrafica, mi ha visto in mezzo a carta e web. Nasco sul cartaceo, ma ho creato il primo sito del Foglio, lavorato al portale del Sole24Ore, mi sono occupato di transizione carta-web, cooperazione carta-web, riorganizzazione delle redazioni. A riguardo, la mia idea è che sul web bisogna arrivare prima e con le notizie; sulla carta, meglio e con gli approfondimenti. Le due realtà non solo possono, ma devono convivere. La carta assume sempre di più il ruolo di “motore di ricerca intelligente” che mette a posto e in ordine le notizie che vengono rovesciate addosso dal web e in qualche modo le certifica. Faccio un esempio. Mio figlio prima dell’estate mi dice: “Papà ho letto su Instagram che Ibrahimovic ha rinnovato il contratto con il Milan. Domani mi compri la Gazzetta così vedo se è vero?”»
Carta, web, ma anche radio. Per anni ha condotto RadioTube con Marta Cagnola su Radio24. Sembrava proprio divertirsi…
«RadioTube è stata una delle esperienze professionali più divertenti di sempre. La radio è un mezzo straordinario e prima di allora non l’avevo mai fatta. Marta Cagnola è un’esplosione di talento e ha una vivacità contagiosa. D’altronde quella del giornalista è una professione che non puoi fare se non ti diverti. È da quando ho 5 anni che voglio fare questo mestiere».
Ha imparato molto dai suoi direttori. Ora, a sua volta, insegna a chi lavora con lei?
«Ho avuto direttori che non avevano paura di condividere contatti delle fonti, di spiegare come si fa un titolo o un sommario. Io ho imparato da loro e lo insegno a mia volta. Questo viene apprezzato ed è visto come un segno di forza. Quando ero a capo degli Esteri del Foglio ho scelto come mia vice Paola Peduzzi, che è decisamente più brava di me. L’avevo capito subito e quando, per ragioni di famiglia sono andato via dal Foglio, ne ho avuto conferma».
A proposito di Esteri, lavorando per un giornale territorialmente più locale sente la mancanza di un respiro internazionale?
«A me piace o Siena o New York; o fare un giornale che dà riscontri immediati, costanti quotidiani, in cui il lettore ti scrive: “Grazie di aver raccontato quel problema di quel quartiere” oppure occuparmi di questioni globali. Per quanto riguarda gli Esteri, continuo a interessarmi di dove sta andando il mondo, ne leggo e ne scrivo anche perché Varese ha la Svizzera e l’aeroporto di Malpensa vicini, è una provincia vivace nei rapporti con l’estero».