Ne sono passati di anni da quando si era presentata alle prove di uno spettacolo con Giorgio Albertazzi, coperta da un golf di lana marrone e una tuta extralarge di quelle che “lasciatemi in pace io voglio vivere comoda”. Laura Conti, cantante jazz e titolare della cattedra dedicata al Conservatorio Antonio Vivaldi di Alessandria, ha i suoi bei trascorsi di “scritturata di lusso”. Non solo Albertazzi, ma Giorgio Gaslini, che l’adocchiò per primo consacrandola giovanissima nel suo quintetto di voci femminili “Le pause del silenzio” e Paolo Conte di cui fu “vocalist” bianca e molto “charmante”. Perché va detto: dietro le spoglie dimesse di una ventenne che pensava a cantare, un po’ “freak” e ignara dei codici di quel teatro delle buone maniere che oggi non esiste più, c’era già allora il graffio di tigre. Quel “quid” che fa la differenza. C’era la tempra che le ha permesso di accusare il colpo.
Perché di colpi ce ne sono stati, eccome. Vogliamo ricordare il primo giorno di prove con Albertazzi?
«Mi aveva distrutto davanti a tutti. Erano prove aperte e io non sapevo che dovessi presentarmi già in prova combinata da personaggio, con veli, trasparenze e tacco dodici. Ero giovane e sprovveduta, non sono mai stata una fatalona, e sono arrivata in tuta e scarpe da ginnastica».
E lui?
«Lui era abituato diversamente. Mi ha fatto ripetere la scena una ventina di volte e poi mi ha guardata e ha detto “ci andrebbe un’attrice”».
Veramente so che disse un’altra cosa…
«E va bene. Disse: “Bambina, tu in questo pezzo devi fare sentire lo sperma nelle giunture”. E poi, rivolto al pubblico: “Ma cosa ne sa lei dello sperma nelle giunture”».
Di che scena si trattava?
«Quella di Lady Macbeth con la mano sporca di sangue. Lo spettacolo era la Shakespeariana, dove io interpretavo la figlia di una coppia di attori girovaghi (Albertazzi e Bianca Toccafondi, ndr) che recitano Shakespeare intervallando ricordi buffi di vita privata. Ma in quel momento ero Lady Macbeth e cantavo un’aria di Duke Ellington a lei dedicata. In golf e scarpe da ginnastica. Uno degli shock più violenti della mia vita. Il fotogramma successivo mi vede su una panchina a piangere perché volevo tornare a casa».
Invece è rimasta e Albertazzi l’ha di nuovo voluta in “Tutte pecore nere e solo una bianca”. La bambina era diventata un’attrice?
«Quello era stato il dramma di inizio. Quando è così o nuoti o affoghi e io ho nuotato. È stata una terapia d’urto, un diretto nello stomaco. Alla fine della tournée avevo acquisito una serie di competenze di cui beneficio tuttora, ma soprattutto non mi sentivo più decontestualizzata. Grazie a lui ho fatto mia l’idea che la bellezza, la forma, l’estetica siano una parte integrante del mio lavoro, anche di cantante».
Ad Albertazzi com’era arrivata?
«Attraverso Giorgio Gaslini, al quale ero invece arrivata attraverso la mia prima maestra di canto, Francesca Oliveri».
E da Gaslini cos’ha imparato, a parte gli insegnamenti di tecnica e interpretazione?
«La gestione del palco, dei musicisti, dei tecnici del suono, dei fonici. Diceva che esistono due famiglie di fonici: i “cazumbo” e i “gorno”».
Scusi?
«Era il suo linguaggio in codice. I “cazumbo” erano gli incompetenti animati di buona volontà, i “gorno” invece, erano irrecuperabili. Quando le cose non potevano che peggiorare lui diceva “gorno” e noi tutti dovevamo dire “va benissimo, si sente benissimo” e si andava avanti lo stesso».
Qual è il complimento più bello che le ha fatto?
«Mi diceva che ho fantasia e alludeva alla capacità di reinventare una melodia, di improvvisare. Il jazz richiede di essere un compositore istantaneo».
Parliamo di Ellaura songs Laura Conti & Giorgio Gaslini, un album del 2010 dove nel titolo risuona il suo nome.
«Un regalo per me. Sono canzoni che spaziano dal classico al jazz alla musica dodecafonica. Lieder, ballate popolari di stili e contenuti diversi, che sviluppano il filone della canzone d’autore colta».
Un filone che ora continua a sviluppare in autonomia. Quali sono i prossimi progetti?
«Un lavoro sul recupero dei canti tradizionali piemontesi e un altro su Astor Piazzolla e su Nadia Boulanger che fu la sua insegnante. Con me ci saranno il pianista Francesco Bergamasco e Massimo Pitzianti, il fisarmonicista dell’orchestra di Paolo Conte.
Ecco appunto: Paolo Conte
«Un visionario, un mago che dal suo castello vede la realtà celata dietro le cose e tutte le possibilità che essa offre».
Che belle parole! Qual è il suo album del cuore?
«Ho registrato diversi album con lui ma quello a cui sono più affezionata è Nelson. Avevo registrato una canzone in studio pensando fosse una prova poi sei mesi dopo mi regala un disco dove c’era inciso quel pezzo, “C’est beau”, una bellissima sorpresa».
Articolo a cura di Alessandra Bernocco