«Quando la cronaca coinvolge un bimbo è difficile per tutti»

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La trasmissione dei misteri, dei delitti efferati e dei casi irrisolti. Il successo di “Quarto Grado” si spiega con una formula vincente e perfezionata negli anni, ma anche con le capacità professionali dei conduttori. Perché la materia è difficile, complessa e delicata. Ha bisogno di un approccio attento. E al fianco di Gianluigi Nuzzi, non possono passare inosservate l’eleganza, la preparazione e la sensibilità di Alessandra Viero. Doti che non sono affatto scontate e che la giornalista di Mediaset sa mettere in campo con il giusto equilibrio. Mai un eccesso, mai una parola ammiccante per catturare l’attenzione del pubblico: questa è forse, in definitiva, la formula vincente. Anche perché il rischio è quello di scivolare nel trash oppure, all’opposto, di perdersi dietro ai dettagli delle indagini e dei dibattimenti processuali. E invece basta scorrere i commenti sui social, termometro del gradimento popolare. Gli spettatori si adeguano alla linea del programma, non ci sono parole scomposte e la maggioranza è compatta nel riconoscere i meriti dei conduttori che non spettacolarizzano le notizie. Un pregio, molto raro di questi tempi.

Alessandra Viero, la trasmissione Quarto Grado è ripartita con grande successo: quale aspetto cattura maggiormente l’attenzione delle persone che vi seguono?

«A “Quarto Grado” cerchiamo di raccontare i fatti di cronaca partendo dai documenti, valorizzando quei piccoli dettagli che sembrano insignificanti, ma che invece spesso sono cambiano il corso degli eventi e delle indagini. Cerchiamo di parlare alla gente e di tradurre anche gli aspetti tecnici o scientifici più complicati in maniera semplice. La prima regola è farci capire da chi ci ascolta, la seconda è fare appassionare il pubblico, guadagnandosi credibilità sul campo. Devo dire che i nostri telespettatori sono sempre molto attenti. Spesso molti spunti per i nostri servizi arrivano proprio dal nostro prezioso pubblico, con cui abbiamo un filo diretto via social».

La recente testimonianza di Barbara Palombelli crede sia servita a chiarire le incomprensioni dopo le polemiche sulla piaga della violenza contro le donne?

«Quella di Barbara è stata sicuramente una frase infelice, uno scivolone, ma quella frase non cancella la sua professionalità. Barbara si è scusata pubblicamente e penso che il pubblico abbia capito. Di certo, nessuna rabbia, nessuna esasperazione, nessun atteggiamento provocatorio può in alcun modo giustificare un femminicidio. Punto. Altrimenti ricadiamo nella logica di “avevi la minigonna e quindi te la sei andata a cercare”».

Qual è il caso, se ce n’è uno, che emotivamente l’ha coinvolta o la coinvolge di più? È difficile mantenere un atteggiamento professionale e distaccato nel racconto di certi drammi?
«Le storie più difficili da raccontare sono quelle che hanno per protagonisti i bambini. Impossibile restare indifferenti. Quelle storie te le porti dentro e ti fanno male. L’ultima che abbiamo raccontato è quella di Samuele, ucciso a Napoli dal domestico. Da quando sono mamma, poi, affrontare certe storie è ancora più duro».

La vicenda di Denise Pipitone è tornata d’attualità: ci sono finalmente spiragli per una svolta?
«Abbiamo raccontato la nuova inchiesta su Denise Pipitone, che sembra essere arrivata al capolinea. La Procura, come abbiamo raccontato, ha chiesto l’archiviazione sia per Anna Corona che per Peppe Della Chiave. Dopo 17 anni, e le falle di una prima inchiesta piena di buchi e ritardi, questa volta gli inquirenti non hanno voluto lasciare nulla di intentato e hanno disposto ogni accertamento possibile. Eppure, le fondamenta di questo nuovo filone si sono sgretolate come un castello di sabbia: poggiavano infatti su presunte testimonianze che si sono rivelate false o comunque prive di qualsiasi riscontro oggettivo. Ma è sparita una bambina di 4 anni in pieno giorno, davanti a casa, mentre giocava. Mi chiedo ancora come sia stato possibile. Sono convinta che esista qualcuno che sappia davvero come sono andate le cose. Qualcuno che ancora non ha parlato. Solo se questo silenzio finalmente finirà, finalmente sapremo la verità su Denise».

Anche la storia di Eitan è piena di colpi di scena: quale potrebbe essere la prospettiva migliore per il bambino sopravvissuto alla strage del Mottarone?
«Eitan è stato strappato alle cure della zia paterna, Aya, la sua tutrice legale che vive a Pavia, con l’inganno. Il nonno che l’ha portato in Israele ora è indagato per sequestro dalle autorità italiane. Questo bimbo si trova al centro di una guerra tra famiglie. Una guerra che di sicuro ha già una vittima. E questa vittima è proprio Eitan. Parliamo di un bambino speciale, che ha già subito un trauma enorme e che va protetto in tutti i modi possibili. Fargli cambiare ambiente, casa e abitudini in questo modo è davvero crudele. Spero solo che il suo nome, che in ebraico significa forte, sia per lui un auspicio. Tanta forza, quella di un piccolo leone, l’ha già dimostrata sopravvivendo a quella maledetta tragedia, ora la forza gli serve per cercare di crescere in un posto da poter finalmente chiamare “casa”».