Quando il “magnatum Pico” scavalcò i grappoli d’uva

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Correvano gli anni ’50 e ad Alba, nel mese di ottobre, dopo la vendemmia, si faceva una grande festa per celebrare la raccolta del tartufo e quella del vino, una festa che coinvolgeva tutti i contadini del circondario, molti arrivavano da Vaccheria, dove la terra era buona per la frutta e per gli ortaggi, poi c’erano quelli del vino che arrivavano dalle Langhe e dal Roero, poi quelli delle bestie che allevavano in cascina nella bassa e alta Langa. Carletto era uno di quelli, lavorava tutto l’anno, ma quando c’era da fare festa metteva il vestito nuovo, il cappello e portava la sua famiglia a festeggiare tra i banchetti. Nella piazza del mercato si radunavano uomini e buoi, artigiani e artisti di strada, formavano un corteo che attraversava la città fino alla piazza del Duomo per salutare San Lorenzo e il buon Dio e poi ognuno al suo posto. La festa del tartufo e del vino era un vero mercato a cielo aperto, dalle trattorie delle vie Maestra e Cavour saliva fino alle narici il profumo del bollito, della trippa o del minestrone che cuoceva a fuoco lento nelle cucine, i mercanti esibivano fuori dalle botteghe la selvaggina, le pentole di rame lavorate a mano, le candele e tutte le diavolerie per attirare la clientela. I “casini” erano pieni di giovani peccatori in attesa del biglietto. Il mercato dell’uva in piazza Umberto era un “ring” dove mediatori e contadini trattavano gli ultimi prezzi senza risparmiare parole dure o cazzotti quando ce n’era bisogno, poi tutti nelle trattorie a dare fine ai fritti misti e alle acciughe che arrivavano da Savona. Alba nei giorni della festa era una grande attrattiva, per la sfilata conclusiva nessuno si risparmiava, bagordi, “giugarela” e “balun” lasciavano i contadini al verde a vedersela con le loro mogli. Sulle colline rimaste prive di grappoli iniziava la “cerca” del tartufo. Barot, Talin, Nicanore e Carletto passavano le notti in bianco, poi dopo una bella colazione scendevano dalle colline con i loro fazzoletti pieni di tartufi dal loro mentore Giacomo Morra: “Sevi rivà finalment? O r’è da quatr’ore che ve spet! (“Siete arrivati, finalmente? È dalle quattro che vi aspetto”). In fretta e in furia i “trifolao” riversavano i tartufi su un tavolo e iniziavano le trattative, finivano con una sambuca con la mosca e dei bei bigliettoni da mille da mettere in “bernasca”. In quel tempo il “magnatum Pico” iniziò a dominare sui grappoli di uva. Carletto e le sue figlie, lasciata Vaccheria per trasferirsi in Langa, si dedicarono alla produzione di vino in bottiglia; i boschi intorno diventarono un luogo sacro e immacolato, un altare per scorrazzare con il cane nelle notti di luna piena. Passò il tempo e di quel mondo antico rimase molto dentro ognuno di loro: la tenacia, l’inventiva, la parsimonia, il cibo e la voglia di fare fecero crescere questa terra. Alba divenne una meta ambita. I langhetti per farsi largo nel mondo impararono l’inglese e il tedesco. Solo quelli come Carletto rimasero uguali, con le loro abitudini e la loro terra, la loro naturalezza.