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«Il senso di comunità è la nostra ricchezza»

La montagna vista con gli occhi di Roberto Colombero, presidente di Uncem Piemonte

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Cade in questi giorni la ricorrenza del primo anno di presidenza di Uncem Piemonte per Roberto Colo­m­bero. «A dire il vero me lo sta ricordando lei ora», commenta il 45enne di Canosio nel momento in cui gli si fa notare che sono già passati 12 mesi da quando ha raccolto il testimone piemontese dell’Unione Na­zionale Comuni Comunità Enti Montani da Lido Riba.

Un anniversario dimenticato non per noncuranza, ma perché, da uomo di montagna qual è, Roberto Colombero utilizza altre unità di misura. Si concentra sul passo successivo e allo stesso tempo non perde di vista in lontananza la meta. Si occupa del giorno per giorno, «facendo fuoco con il legno che ho», riassume lui, ma non rinuncia a lavorare per un futuro più sostenibile, da ogni punto di vista.

Presidente Colombero, partiamo da una notazione gram­maticale. Giusto “montagna” al singolare o meglio parlare di “montagne”?
«Al plurale. Anzi, io allargherei ancora di più il concetto, includendo tutto ciò che non è area metropolitana. L’altro giorno ero in piazza a Mon­ticello d’Alba per la mobilitazione contro la chiusura della filiale di banca del paese. È chiaro che c’è differenza tra essere cittadino di Canosio, Elva o di Mon­ticello. Però abbiamo ne­cessità comuni, come il mantenimento dei servizi, e quindi abbiamo interesse a fare politiche comuni che possono andare incontro alle esigenze di tutti».

Che turismo immagina per la montagna?
«Il turismo “vero”, per me, è quello che crea comunità. A livello nazionale abbiamo poche stazioni sciistiche, se le rapportiamo al territorio montano. A parte i grandi comprensori sciistici, le altre valli di cosa vivono, se non di quello che sono? E quello che sono, è tanto! Occorre trovare possibilità di sviluppo per quel turismo sostenibile di territorio. C’è un mondo molto attento a questa proposta. Abbiamo territori eterogenei e tutti possono essere appetibili, ma bisogna organizzare l’offerta».

Come ha fatto la sua Val Maira…
«La Val Maira è un modello di quel tipo di turismo che, come tutti i percorsi e le strategie di sviluppo, ha sempre bisogno di tagliandi, perché non è che se si parte andando nella giusta direzione, questa rimarrà giusta per forza. A volte rischiamo di accentuare alcune caratteristiche che, invece di andare incontro a ciò che cercano i turisti, seguono la moda. Per esempio, non possiamo pensare di creare in tutte le valli alpine borgate con “villaggi museo” in cui non ci sta nessuno. I turisti vengono da noi perché hanno a cuore l’idea di paese, con gente che ci vive, che alleva, che coltiva. Bisogna chiedersi se il tipo di modello che poteva essere appetibile sino a qualche anno fa, basato sulla quantità di turisti accolti, non sia ora controproducente».

Che rischio si corre?
«Se il turismo è funzione alla crescita del territorio ha un senso, altrimenti non mi interessa. Avere ogni giorno migliaia di persone che vanno alla Gardetta non significa nulla, se non aiuta a far crescere Ca­nosio e la Valle Maira. Da noi la gente deve andare piano, spostarsi a piedi, poter parlare con la gente. Non è un caso se abbiamo turisti che tornano da noi tutti gli anni, per almeno una settimana. Vuol dire che hai offerto loro qualcosa che non è solo turismo ma anche altro: una comunità, un paese».

Un’altra parola che spesso si associa a montagna è “rischio idrogeologico”…
«È una conseguenza del fatto che in alto non c’è più nessuno. Consapevoli del fatto che in alto non c’è più nessuno, dobbiamo dare corso a politiche di gestione del territorio basate sulla prevenzione. E la prevenzione la si fa con strategie e una visione del territorio che non è per singolo comune, ma per area vasta. Una pianificazione strategica di territorio per la prevenzione non può che essere fatta da enti sovracomunali, che in questo periodo storico sono molto deboli. Va detto che le risorse investite nella prevenzione sono molto meno di quelle che poi occorrono per gestire i danni delle grandi alluvioni ed è un dato statistico allarmante che forti concentrazioni di eventi atmosferici si verificano sempre più frequenti. Dipende dal cambiamento climatico? Secon­do me sì, ma se anche non dovesse dipendere da quello, dobbiamo fare i conti con questa realtà: una sempre maggiore frequenza degli eventi alluvionali a cui occorrerà imparare a far fronte. Piantiamola lì, ogni volta che piove, di dare la colpa a qualcuno. Mettiamoci al tavolo oggi che c’è una bella giornata di sole e nessun rischio di alluvione, per capire dove e come intervenire».

BaNNER
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