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«Il mio libro? Un’istantanea della Langa di oggi»

Pietro Giovannini è l’autore del poderoso “romanzo turistico” corredato dalle fotografie di Maurizio Beucci che riesce a raccontare il territorio da un punto di vista inconsueto

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Perché quelle della Destra Tanaro non sono colline come tutte le altre? Il giornalista Pietro Giovannini, che da sempre scrive innanzitutto di turismo ed enogastronomia, prova a rispondere con “Impossible Langhe”, un prodotto editoriale ibrido e raffinatissimo, pubblicato dalla Fon­da­zione Radical Design, voluta da Sandra e Charley Vezza.

Pietro, qui di “impossible” c’è innanzitutto la ricerca di una definizione per il suo libro…
«In effetti non è semplice. La scelta della Fondazione, che l’ha definito “romanzo turistico”, rende l’idea perché coniuga le due anime del libro, quel che aspira a essere: una guida geografico-turistica molto più ampia e varia di quel che si vede nel solito servizio autunnale sul tartufo, ma anche un prisma di racconti che restituiscono un’immagine complessa e composita di una Langa che molti non hanno mai visto e non vedranno mai. Il mio intento è che i racconti siano autonomi, meritevoli di essere letti e comprensibili anche senza essere in Langa, e che invece la parte turistica serva a chi in Langa c’è o ci andrà, ma vuole vedere e conoscere qualcosa di diverso rispetto ai soliti luoghi indicati in ogni guida».

9 itinerari che occupano, accanto alle bellissime fotografie di Mau­rizio Beucci, 650 pagine. Quanto tempo e lavoro le sono costati?
«Ho scritto quasi ininterrottamente per due anni. Il Covid ha inciso sui tempi, in modo differente sulle diverse componenti del libro: da un lato mi ha aiutato a trovare l’occasione per completare alcuni racconti che erano solo abbozzati, ma dall’altro ha rallentato molto la compilazione della parte di guida, perché mi ha impedito di verificare una serie di itinerari e di informazioni “sul campo”. In realtà, al di là dei tempi della stesura, quello che è stato scritto è frutto di una gestazione molto più lunga e ampia, riassume conoscenze, esperienze e suggestioni che ho accumulato da quando sono nato. Ci sono infatti passaggi molto personali, frutto di esperienze dirette o di storie che ho sentito in famiglia da bambino, come quelli relativi a Fenoglio, qui raccontato da un punto di vista molto diverso da quello consueto».

Un po’ come gli scatti di Beucci, che forniscono una prospettiva nuova su qualcosa che pensiamo di conoscere già e bene…
«Esatto. Maurizio ha fatto un grandissimo lavoro alla ricerca non della bella foto, dello scatto emozionale, ma di quello in grado di mostrare una Langa che è molto di più e molto diversa da quella che ti aspetti. Inquadrando un palo della luce davanti a un castello, una barchetta abbandonata in una piscina o una transenna di fronte a una cappella del Quattrocento, ha saputo mostrare la Langa in tutta la sua assurdità, nelle sue contraddizioni, nella concretezza della gente che la vive. Non c’è bisogno di un fotografo per immortalare i vigneti pettinati; quello è uno scatto che ormai possiamo realizzare tutti con il telefono che abbiamo in tasca, magari senza neanche scendere dall’auto. Per cogliere aspetti come quelli al centro di queste foto serve invece l’occhio, la sensibilità e il ragionamento di un professionista».

Parla genericamente di gente che vive in Langa come se non ci fossero differenze sostanziali. È così?
«A mio avviso è così. Tutta gente pragmatica, molto concreta; per quanto possa essersi arricchita continuerà a conservare lo scarto di spago o di fil di ferro e a tenerci insieme le cose. Se, generalizzando, ora il benessere aumenta mano a mano che scendiamo a valle verso Alba, un tempo erano ricche soprattutto la Val Bormida e quella del Tanaro, perché di lì passavano i commerci. Se poi devo pensare a una zona che si discosta dalle altre è quella dell’Alta Langa: un territorio sterminato, remoto, la cui freschezza e identità a mio avviso dureranno a lungo, impermeabili alla globalizzazione».

Come si intuisce pure da questo dialogo, la sua è un’o­pera che si presta a molti li­vel­li di lettura e di fruizione. Chi ha in mente come suo lettore?
«Non scrivo pensando di rivolgermi a un lettore tipo. Quando fai una cosa del genere pensi solo a raccontare, sperando che quel che racconti risulti interessante al maggior numero di persone possibile. Anche solo per la sua foliazione questo è un libro evidentemente fuori da qualsiasi logica commerciale. Per me è semplicemente un libro per chi ama le Langhe e vuole saperne di più, a prescindere da quello che ha già letto o leggerà. È una soggettiva e come tutte le soggettive farà discutere e sarà contestabile, ma per me è un’istantanea di cosa è la Langa negli anni 2020. Forse potrà servirci anche in futuro perché a volte guardando alcuni dei luoghi oggi più visitati mi viene il dubbio che la Langa, almeno in parte, cambierà profondamente».

BaNNER
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