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«Ecco come racconto il cibo in radio e in tivù»

Il conduttore Rai Federico Quaranta è stato tra i primi a intuire l’importanza della “democrazia gastronomica”

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Federico Quaranta è tan­te cose: un autore e conduttore radiofonico e te­le­vi­sivo, un amante del­l’e­no­gastronomia, ma anche di mo­­to, mu­sica, sport e vita all’aria aperta. Ed è pure “metà” di “De­can­ter”, programma cult di Rai Radio 2 in onda dal 2003.

Qual è il segreto del successo di “Decanter”?

«Tinto e io siamo in sintonia completa, come fratelli. Ci compensiamo: io sono più riflessivo, “pesante”, mentre lui è più “leggero” e sbarazzino. Il programma funziona perché funziona la coppia e la discussione è sempre aperta, con un grande sentimento alla base: il bene che ci vogliamo. Il secondo fattore è che “Decanter” ha iniziato a parlare di cibo, vino e territori ormai 18 anni fa, quando quei temi erano appannaggio di pochi che sapevano o avevano la presunzione di sapere del settore. Noi ci siamo entrati con uno spirito completamente diverso, non da dotti che salgono in cattedra per insegnare e dominare il sistema, ma con curiosità: faccio domande, cerco di capire, sbaglio, rendo l’ascolto allegro, non ampolloso e distante. “Decanter” ha avvicinato tutti quelli che mangiano, cioè tutti, al tema dell’agroalimentare che prima era per po­chi: o sapevi o eri fuori dal circolo, che da circolo vizioso è pas­­sato a essere un circolo virtuo­so e aperto, grazie a Rai Radio 2».

Cibo e media da allora non si sono più lasciati: come vede la situazione in questo momento?
«Noi l’abbiamo fatto prima di tutti. L’unico altro programma che c’era a livello popolare era quello di Antonella Clerici. “La prova del cuoco” e “Decanter”, per anni, sono stati soprannominati “pornografia gastronomica” e, invece, hanno inaugurato la “democrazia ga­stronomica”. Da quel momento, si è capito che funzionava e ora non c’è programma dove non si spignatti. Infatti noi non lo facciamo più: abbiamo deciso di togliere i cuochi dal centro della scena e ci abbiamo messo i territori».

Che rapporto ha con il nostro, la Granda?

«Pur essendo nato a Genova, sono langhetto di origine e ho trascorso gran parte dell’infanzia nella frazione dove vivevano i miei nonni, San Bartolomeo, ai piedi di La Morra. Il legame è rimasto intenso: conosco le produzioni artigianali e ho molti amici in zona, anche cuochi».

Cosa pensa quando parliamo di questi posti?
«Alle feste di paese, un avvenimento straordinario che ho in testa di rilanciare: la pista da ballo, il “calcinculo” e la ruota panoramica, i banchetti della lotteria, la tombola, il cibo dei contadini servito in degustazioni. Era un bellissimo momento di condivisione: di sabato e domenica, l’intero paese addobbato si stringeva intorno al tendone per la grande festa popolare. Nel Sud Italia si trovano ancora, al Nord si sono un po’ perse».

Quali sono le altre sue passioni?
«Ne ho centomila, vivo di passioni. La numero uno è il motociclismo: ho sempre fatto motocross e corso in moto, mi piace da impazzire. Vivevo a due passi dall’America dei Boschi, dove c’è una pista di motocross bellissima, così come ad Asti. C’è ovviamente la musica, ma anche il nuoto e la corsa. Amo la vita all’aria aperta, il contatto con la natura e portarci mia figlia Petra, che adesso ha tre anni».

È molto seguito anche sui social: che rapporto ha con questi strumenti?

«Sono su Facebook e Instagram, con un atteggiamento professionale. Non posto faccende private: mia figlia non si è mai vista, solo una volta mia nonna, insieme a me, alla festa dei suoi 99 anni, per la sua radice contadina, popolare, terragna. Salvo questa eccezione, ci sono solo foto e video dei lavori che faccio. Se avessi pubblicato immagini di mia figlia, della mia compagna, del cane e di casa forse avrei il doppio dei follower, ma preferisco così».

Come vive questa fase della pandemia?
«Preferisco affidare la mia vita alla scienza piuttosto che al caso, alla cabala, alla fortuna: farò la terza dose di vaccino, cercherò di stare attento e mi sentirò protetto e libero, perché non rappresenterò un’incognita per gli altri. I “no vax” e “no green pass” sono liberi di pensarla come vogliono, ma credo siano profondamente egoisti: pensano solo a loro stessi e non alla comunità. Uno che si ammala potrebbe anche prendere la malattia lievemente, ma uccidere mia madre o mia figlia. Per il resto, di solito, vado in giro per territori dove non c’è nessuno e il distanziamento sociale è imposto dall’abbandono. Credo che sia stato un errore ammassarsi in agglomerati urbani alienanti e inadatti, quando ci sono luoghi stupendi che permettono di vivere serenamente e con il giusto spazio. Forse è il caso di ripensare la società e farla rallentare un po’, perché altrimenti andiamo veloci e dritti verso il baratro».

Quali sono i suoi prossimi progetti?
«Spero che “Decanter” vada avanti per altri vent’anni, poi ci sono “Il provinciale” su Rai 2 e, quando mi chiamano, “Linea Verde” su Rai 1. Il mio sogno è un programma tipo “Il provinciale” o “Linea Verde Radici” trasmesso in prima serata».

BaNNER
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