Cheese 2017: Slow Food lancia una rete mondiale di aiuto per aiutare i produttori di formaggi a latte crudo

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Diciassette testimonianze dai cinque continenti: casari, affinatori, produttori ed esperti hanno preso parte agli Stati Generali, il più importante incontro internazionale sui formaggi a latte crudo.

«Il tempo è maturo per formare un’internazionale dei formaggi a latte crudo, per creare una rete in grado di mobilitarsi per condividere battaglie, problemi e soluzioni, di esercitare una pressione internazionale. Occorre ricordare, però, che accanto al latte crudo l’altro grande tema di Cheese 2017 sono i fermenti industriali. I formaggi naturali, liberi da fermenti selezionati, sono un qualcosa in più rispetto al latte crudo. A tendere, l’internazionale del latte crudo deve diventare l’internazionale dei “formaggi naturali”». Così Piero Sardo, presidente della Fondazione per la Biodiversità, tira le somme del pomeriggio di lavori che ha inaugurato l’undicesima edizione dell’evento.

L’introduzione dell’assemblea è affidata alla parole di Carlo Petrini, fondatore di Slow Food: «Confesso che quando mi hanno proposto di dedicare questa edizione di Cheese al solo latte crudo, ho avuto qualche dubbio. Mi domandavo: se escludiamo tutto il resto, riusciremo a tenere alta l’attenzione di produttori e di pubblico? Mi sono dovuto ricredere: la prima giornata di Cheese a Bra ci conferma che la linea di comportamento che abbiamo scelto è giusta e sacrosanta per l’intera produzione lattiero-casearia mondiale. Ascoltare le testimonianze di questi produttori è un’occasione unica: la loro è la storia di chi rivendica il diritto alla biodiversità e alla produzione artigianale. Perché più si afferma l’industrializzazione, meno ci sarà visibilità per i produttori di piccola scala».

 

Vent’anni dopo la prima edizione di Cheese, nella quale Slow Food iniziò la battaglia per il latte crudo, si vuole quindi dare vita a un percorso comune che, idealmente, parte da Bra per diffondersi in tutto il mondo.

A partire dagli Stati Uniti. Fino a pochi anni fa i produttori americani dovevano lottare contro una legge che vietava l’utilizzo del latte crudo. Dopo anni di battaglie, anche grazie a Slow Food USA quel divieto è caduto in diversi stati, tra cui il Wisconsin da cui proviene Andy Hatch, produttore del Presidio Slow Food: «Ogni giorno lavoro per offrire sapori più autentici e complessi, ma c’è ancora molto da fare perché i formaggi della mia fattoria siano riconosciuti sul mercato».

In Australia la battaglia è ancora più difficile. Nel Paese di Kris Lyiod fino al 2013 la produzione di formaggi a latte crudo era vietata. Da allora qualcosa si è mosso, grazie anche al suo impegno. «In Australia dovremmo federarci per avere più forza e proporre i nostri prodotti».

Dal Sudafrica arriva l’esperienza di Brian Dick formaggiaio e referente di Slow Food Raw Milk Cheese. «In Sudafrica abbiamo una decina di produttori che usano latte crudo» racconta, «ma i problemi in questo momento sono ben altri. A causa del cambiamento climatico e della siccità uno dei nostri produttori recentemente ha interrotto l’attività».

E mentre la giornalista e attivista brasiliana Débora de Carvalho Pereira realizza una Guia de cura de queijos e lotta al fianco dei 258 produttori di formaggio a latte crudo del suo Paese, da Cuba Kent Ruiz ha iniziato da poco un percorso di sensibilizzazione e informazione per sostenere la produzione di formaggi a latte crudo.

 

Non solo produttori e consumatori. Fondamentale il contributo degli esperti. Aldo Grasselli, presidente dell’associazione italiana veterinari, invita i produttori di formaggio a latte crudo a costituire dei comitati scientifici indipendenti in grado di supportare con tesi e ricerche la salubrità e la sicurezza dei propri prodotti. E aggiunge: «Il latte crudo è stato demonizzato per la pericolosità di alcuni batteri, tra cui l’Escherichia coli. Eppure quel batterio forse è maggiormente connesso alla carne degli hamburger fatti con la carne di vacche portate allo stremo macellata industrialmente».

 

Per Paolo Ciapparelli, del Presidio Slow Food dello Storico Ribelle, il latte crudo è una filosofia di vita: «Forse perderemo la nostra battaglia perché siamo troppo piccoli. Facciamo un formaggio caro perché è senza fermenti e prodotto da vacche alimentate solo a erba, senza mangimi».

 

Come lui Bronwen Percival, in rappresentanza di uno dei più importanti affinatori del pianeta, Neals’ Yard Dairy, che pone l’accento sulla biodiversità microbica come elemento cardine del formaggio e della sua territorialità. E che lancia un’iniziativa bellissima: «Neal’s Yard, in questi giorni, venderà a Londra solo formaggi a latte crudo per promuovere la filosofia di Cheese».

Infine gli strumenti pratici. Carlos Yescas, messicano e referente della Oldways Cheese Coalition, lancia un sondaggio a livello planetario per conoscere chi fa latte crudo (il sondaggio si trova su www.oldwayscheese.org/bra); l’organizzazione europea FACE network, che raccoglie sotto il suo ombrello numerose associazioni che lottano per il riconoscimento del latte crudo e pubblica un manuale di buone pratiche, in collaborazione con la Commissione europea, per sapersi orientare tra le norme igieniche in piena legalità.

 

Peter Thomas dall’Irlanda, Guvener Isik dalla Turchia, Maria Procopio dall’Italia e Jean Bernard Maitia dai Paesi Baschi chiudono il cerchio delle testimonianze, sottolineando come la questione del latte crudo sia essenzialmente politica e la necessità di un coordinamento internazionale che abbia, appunto, più forza politica.

 

Foto Paolo Properzi / Archivio Slow Food