Un breve commiato può rispecchiare una lunga storia, sintetizzare la personalità di una donna che ha determinato la direzione della Germania e dell’Europa. Angela Merkel (cognome del primo marito, che ha mantenuto: all’anagrafe è Kasner) lascia dopo sedici anni con un provvedimento ferreo sui no vax e un discorso commosso, confermandosi inflessibile e sensibile, d’acciaio come si conviene al ruolo eppure capace di ascoltare i sentimenti. Avvolta da un cappotto nero, nel riflesso delle fiaccole, rimarca due parole: gratitudine e umiltà. «L’umiltà davanti all’ufficio che ho potuto presiedere per tanto tempo, la gratitudine per la fiducia che mi è stata concessa. Sono sempre stata consapevole che la fiducia è il bene più importante in politica, tutt’altro che scontato». Ringrazia il popolo tedesco e chiede uno sguardo particolare sul mondo: «Vorrei incoraggiarvi a vederlo sempre con gli occhi degli altri, per percepire diverse prospettive, a volte scomode e contraddittorie, e lavorare per bilanciare gli interessi». Esce di scena dopo sedici anni in un momento complicato, ancora segnato dalla pandemia che ha comunque insegnato «l’importanza della fiducia nella politica, nella scienza e nei fatti».
Si chiude un ciclo destinato ai libri di scuola, quello della prima donna nominata cancelliera, indicata da Forbes come la più potente del mondo, abile a trascinare la Germania fuori dalla crisi attraverso quattro mandati consecutivi. La passione politica comincia ai tempi dell’università, a Lipsia, quando studia fisica e bazzica il movimento socialista Libera Gioventù Tedesca, nel ’90 aderisce al Cdu e diventa ministro per le donne e i giovani: la chiamano “das Madchen”, la ragazza, ma cresce in fretta, non esita a criticare il leader del partito Koni quando vengono scoperti gli scandali che lo circondano, guida l’opposizione e sale al Cancellierato. È tempo di bilanci, e subito un dato racconta la forza, la qualità, la politica di Angela: nel 2005, quando si insedia, la disoccupazione è all’undici per cento, oggi è al sei ma se non ci fosse stato il Covid sarebbe di sicuro più bassa. S’è attivata per l’Unione Europea, benché tacciata d’aver favorito gli interessi commerciali tedeschi (da qui il neologismo “merkantilismo”), ha alzato i toni con Putin e Trump, durante la guerra in Siria ha accolto un milione di rifugiati: decisa, non sempre decisionista, anzi a tratti così attendista da suggerire il conio del verbo “merkeln”. La sensazione è che il futuro sia nell’università, come ricercatrice o docente, ha anticipato che scriverà un’autobiografia: sarà utile per scoprirne l’altro volto, quello meno duro e puntiglioso, meno “tedesco”, quello della donna semplice che il ruolo ha talvolta nascosto, svelato da una sobrietà quasi dimessa, gli scontati tailleur colorati, i golfini non sempre alla moda, l’albergo a tre stelle scelto a Ischia. Più anime in una, come ricordano la passione per il calcio stridente con l’austerità e la naturalezza con cui alterna strategie internazionali e ricette di cucina (torta di prugne e zuppa di patate le sue specialità). E come dimostrano anche le canzoni scelte per la cerimonia d’addio: un canto religioso, omaggio al papà pastore, e un brano della cantante punk Nina Hagen, cresciuta come lei nella Germania dell’Est.
Più anime in una
Si sono chiusi da poco i 16 anni di cancellierato di Angela Merkel, una donna che ha scritto la storia della Germania e dell’Europa dando prova tanto di inflessibilità quanto di sensibilità