L’elezione del Presidente della Repubblica è sempre un momento di sospensione per il Paese, che ogni sette anni rallenta per assistere a una votazione spesso e volentieri caratterizzata da tempi lunghi, “incidenti” politici e accordi “segreti” nei corridoi di palazzo. Quello che inizierà il 24 gennaio è un percorso che si ripropone, ogni volta, con tutti gli elementi di complessità che un passaggio così decisivo richiede; e non fu diverso nel 1992, quando venne poi scelto Scalfaro. Tra i grandi elettori c’era Giovanna Tealdi, parlamentare cuneese (di Mondovì, per la precisione) classe 1942, esponente della Democrazia Cristiana, che visse da protagonista le due legislature comprese tra il 1987 e il 1994. Oggi, con un vivace colloquio tra presente e passato, ci ha descritto la fase politica che ci apprestiamo a vivere.
Onorevole Tealdi, ci avviciniamo all’elezione del Presidente della Repubblica. Qual è il quadro politico?
«La situazione è difficile, ma in realtà le elezioni del Capo dello Stato sono sempre state così. Oggi però c’è un elemento nuovo: la richiesta, da ampie parti della base popolare, di una presidente donna. E, forse per la prima volta, ci sono davvero le condizioni perché questo si verifichi».
Spesso la sensazione è che la questione femminile venga solo citata per “dovere” formale, prima di indirizzare di nuovo la scelta su di un uomo. Sarà così anche questa volta?
«Non saprei. Sicuramente, anche se molta gente è d’accordo, le difficoltà rimangono. Penso, però, che sia arrivato il momento e che i tempi siano maturi: ci sono donne capaci che hanno tutti i requisiti per un ruolo tanto importante. Tuttavia, non mi illudo ma rimango moderatamente fiduciosa, pensando anche al fatto che spesso queste elezioni si risolvono all’ultimo con un nome a sorpresa».
Quale donna vedrebbe bene al Quirinale?
«Mi piace molto l’attuale ministro della Giustizia, Marta Cartabia».
E come giudicherebbe, invece, un bis di Mattarella?
«Il nostro Presidente è un uomo meraviglioso, intelligente e di classe, dotato di grandissime capacità da mediatore; molti hanno pensato a un suo secondo mandato, ma a quanto pare lui non è disponibile. Per me resta una figura bellissima. D’altra parte, c’è sempre la “carta” Draghi, ma qui il discorso si fa difficile, perché entrano in gioco parecchi interessi…».
Che cosa ricorda dell’elezione di Scalfaro nel 1992?
«In quel periodo avevo sofferto la situazione, non si riusciva a trovare un punto di incontro tra gli schieramenti. All’epoca facevo parte della Commissione Lavoro e ricordo che spesso i colleghi uomini, tra una sessione di lavoro e l’altra, facevano lunghe dichiarazioni, prolisse e in pieno stile “politichese”. Ci guardavamo tra colleghe, in particolare io, Livia Turco e una deputata calabrese, e poi uscivamo noi a parlare con i giornalisti: più concrete, non facevamo troppe parole e andavamo dritte al sodo, cercando di chiarire al meglio un passaggio così delicato».
È difficile essere una donna nel mondo della politica?
«Molto. Le racconto un piccolo aneddoto: c’era spesso un’altra parlamentare con me, una donna molto bella, e ogni volta che interveniva scattavano le battute e i commenti a bassa voce dei colleghi uomini. Nella mia prima legislatura ho dovuto abituarmi, quando parlava una di noi, a quel fastidioso chiacchiericcio di sottofondo. Che scompariva, però, quando arrivava la presidente della Camera Nilde Iotti: che donna! Tutti la rispettavano, vista anche la sua severità, e se qualcuno si permetteva di essere irrispettoso, veniva richiamato per nome; il brusio, con lei, scompariva immediatamente».
Crede che la situazione sia migliorata in questo senso?
«Sicuramente ci sono stati dei passi avanti. Teniamo presente che nel 1948, sommando le due Camere, le donne erano 49; nel 2006, invece, 150 e oggi molte di più. Ma la strada rimane ancora lunga».
Qual è il provvedimento della sua esperienza politica che ricorda con più orgoglio?
«Già nella prima seduta presentai una legge per le indennità di maternità a favore delle lavoratrici autonome che l’anno successivo riuscì a passare; e portammo avanti questo discorso anche nella mia seconda legislatura, cercando di estendere questi diritti al maggior numero possibile di donne professioniste. D’altra parte, io arrivavo dall’esperienza della Coldiretti cuneese e avevo ben chiaro in mente quali fossero le difficoltà delle donne impegnate in agricoltura, a cui venivano riconosciuti in generale ben pochi diritti. E, anche se in quel periodo non si parlava ancora di crollo delle nascite, sapevamo di dover assicurare un apporto in quell’ambito».
Come vede, quasi trent’anni dopo, la nostra provincia? Il contesto è migliorato?
«Guardi, io sono davvero molto orgogliosa della mia terra: viviamo in un territorio meraviglioso, dove l’acqua e l’aria sono pure e le eccellenze, dal mondo enogastronomico in poi, non mancano. Siamo molto fortunati, perché il Cuneese, grazie al suo comparto agricolo e a quello industriale, riesce a creare posti di lavoro per tante persone, sia nate qui che provenienti da altre zone. Credo che la nostra gente sia in gamba e abbia una marcia in più, e questo ci ha dato la possibilità, anche nelle situazioni di crisi, di emergere con successo: pensiamo, ad esempio, a quanto sta accadendo in questi tempi drammatici di pandemia, dove il Cuneese si sta distinguendo per il rispetto delle regole e la serietà. Pure nei momenti più turbolenti, la nostra mentalità da risparmiatori e la voglia di lavorare ci hanno consentito di rialzarci. Perché, come dice spesso anche il Papa, è attraverso il lavoro che le persone si realizzano».