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«È inutile inventare, basta copiare da quelli bravi»

L’odontoiatra saluzzese Alberto De Chiesa racconta come ha raccolto la grande eredità del padre Carlo

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“Ciò che hai ereditato dai padri ri­conquistalo, se vuoi possederlo davvero”. Di tali parole contenute nel Faust di Johann Wolfgang Goethe ha fatto tesoro Alber­to De Chiesa. Laureato in Me­dicina e Chi­rurgia presso il Du Chirurgie Orale Univer­sité de Bourgo­gne, il saluzzese porta avanti con dedizione il lavoro iniziato dal padre, il celebre Carlo De Chiesa, che proprio nella città del Marchesato fondò uno studio di odontoiatria diventato negli anni un punto di riferimento.

Alberto, quanto la figura di suo padre Carlo ha influenzato la sua carriera?

«Direi molto: tutti noi quattro fratelli siamo cresciuti, “respirando” odontoiatria, anche se devo dire che nostro padre non portava mai il lavoro a casa. Il bello è che c’era un mondo di giovani dentisti entusiasti, provenienti da tutta Italia, che frequentavano casa nostra e noi non potevamo non amare quelle sensazioni che trasmettevano. Una delle persone più presenti in casa nostra, era il dottor Augusto Biaggi, grande maestro di nostro padre, un dentista svizzero italiano, ma che esercitava in un piccolo paese vicino a Zurigo e ancora il dottor Peter Thomas di Los Angeles, uno dei grandi medici dell’odontoiatria mondiale, an­che lui spesso a Saluzzo. Benché ragazzi, frequentare personaggi così carismatici, ci ha sicuramente indirizzati».

Come porta avanti l’eredità professionale di suo padre?
«Cerco di essere innanzitutto professionale. Sembra semplice, ma in realtà è molto complesso esserlo davvero, perché nel nostro lavoro ci so­no continuamente decisioni da prendere, siamo sottoposti a pressioni di ogni genere ed è molto im­portante “te­nere la barra del timone dritta”, cercando sempre di fare il me­glio, costruendo un am­biente sereno e divertente».

L’attività di famiglia continuerà negli anni?
«Lo spero. Le premesse ci sono: tre, tra nipoti e figli, sono giovani odontoiatri già inseriti nello studio, mentre un altro nipote sta studiando Odontoiatria e sarà presto parte del team, quindi direi che la continuità è assicurata. Ritengo che avere dei bravi giovani in studio sia fondamentale, innanzitutto perché è molto stimolante e poi per il fatto che sono di grande aiuto con le nuove tecnologie, am­bito in cui sicuramente “na­­vigano” con un altro piglio rispetto a noi “anziani”».

Qual è l’aspetto che le piace di più del suo mestiere?
« Il rapporto umano che si riesce ad instaurare con molti pazienti. Anche se indubbiamente ci sono anche molti aspetti tecnici affascinanti. Ad esempio potere visualizzare in 3d un intervento chirurgico o una ricostruzione protesica è stimolante, oltre a darci degli elevati standard di sicurezza e di predicibilità».

Questi due anni di pandemia come hanno cambiato il mo­do di svolgere il suo lavoro?
«Ci riteniamo molto fortunati, perché a parte i due mesi di lockdown del 2020, che penso siano stati scioccanti per tutti, la nostra professione non ha subito cambiamenti significativi, al di là di alcuni accorgimenti soprattutto nell’accoglienza dei pazienti, per evitare assembramenti nelle sale d’attesa. Da tener presente che noi da sempre combattiamo contro virus e batteri, siamo abituati a lavorare quotidianamente con mascherine, schermi e camici protettivi; i nostri nemici pre Covid si chiamavano Aids, Epatite C, ben più temibili di questo coronavirus».

La professione di dentista, per lei, è una questione di fa­miglia. Esiste questa “ereditarietà” anche tra i pazienti?
«Assolutamente sì, spesso in­contro la nonna, paziente di mio padre, che accompagna il nipote nello studio di ortodonzia o da noi per le cure, ed inevitabilmente parte “il treno dei ricordi”. Lì mi rendo conto che grande persona era il nostro papà, affiancato, sempre lontana dalle luci della ribalta, da una grande donna quale nostra ma­dre, e capisco che fortuna abbiamo avuto ad avere dei genitori così, sperando di continuare a “seminare” bene anche con i nostri figli e i nostri nipoti».

Che legame ha con Saluzzo?
«Direi molto stretto, sono nato, cresciuto e lavoro qui, i miei nonni paterni vennero a Sa­luzzo da giovani, ma la mia fa­miglia materna, i Ferraris sono nella città del Marche­sato da molte generazioni. Con i miei cugini abbiamo ancora una vecchia casa in collina che fu acquistata dal mio trisavolo Luigi Ferraris intorno al 1860. È incredibile come, con l’inesorabile progredire dell’età, il legame con le proprie origini diventi sempre più stretto».

BaNNER
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