La pesta suina africana è arrivata. Non trasmissibile all’uomo, è però molto pericolosa per i capi suinicoli che possono contagiarsi. A portare il virus sono i cinghiali. Il 7 gennaio a Ovada, è stato rilevato il primo caso positivo su una carcassa dell’animale selvatico. Al momento ne sono stati riscontrati altri dodici.
La zona infetta è stata subito circoscritta dal ministero della Salute e dalla Regione a 78 Comuni in provincia di Alessandria e a 36 della Liguria. Con la sospensione di qualsiasi attività venatoria. Poi, i ministeri della Salute e delle Politiche Agricole hanno confermato la sospensione della caccia e aggiunto il divieto di trekking, mountain bike, pesca, raccolta funghi e tartufi. Con un monitoraggio continuo della situazione insieme alla Regione.
Dal 24 gennaio, un’altra ordinanza della Giunta regionale impone il divieto di caccia e di gestione faunistica nell’area di 10 chilometri confinanti con la zona infetta: e cioè in altri 43 Comuni sempre in provincia di Alessandria; 29 in provincia di Asti e due in provincia di Cuneo, Perletto e Pezzolo Valle Uzzone. Finora, nei territori della zona infetta e in quelli confinanti nel raggio di 10 chilometri non ci sono stati casi di contaminazione della popolazione suina.
E la “Granda” è appena sfiorata dall’emergenza veterinaria. Ma in provincia di Cuneo, con 800 allevamenti e un patrimonio di 900 mila capi – oltre la metà di quelli piemontesi e un decimo dei nazionali -, si teme un allargamento dell’area coinvolta. E sarebbe un danno economico e di immagine enorme, in quanto molte produzioni vanno ad alimentare le filiere del prosciutto di Parma e del San Daniele.
Il Governo nazionale, attraverso il ministero dell’Agricoltura, ha stanziato 50 milioni di euro per sostenere le aziende danneggiate dal virus. Prime misure, ma restano sul tappeto diverse questioni da risolvere. Come, ad esempio, la crisi del mercato di cui si sono già sentite le ripercussioni, con alcuni Paesi stranieri che hanno bloccato le importazioni di salumi e carni suine italiane.
Cosa dice il direttore Cia Cuneo, Igor Varrone
“In questo momento – sottolinea il direttore di Cia Agricoltori Italiani Cuneo, Igor Varrone – sulla vicenda bisogna cercare di mantenere i toni bassi, in quanto c’è il rischio di creare il panico. E il panico sarebbe sbagliato perché i suini sono super controllati e se ci fosse un solo caso sarebbe già stato riscontrato. Certo, gli operatori del settore devono prestare molta attenzione al problema e tutelare i loro allevamenti rafforzando le difese e creando dei cuscinetti tra gli stessi e l’esterno. Per evitare eventuali contatti diretti con i cinghiali”.
Aumentando ulteriormente i costi? “Purtroppo, sì. Per questo motivo bisogna cercare il confronto serrato con il ministero dell’Agricoltura e la Regione perché arrivino degli aiuti “veri” e sufficienti. I provvedimenti presi fino ad ora sono corretti, ma non ci soddisfano. Chi paga l’aumento delle opere di difesa degli allevamenti, magari l’incremento delle analisi, peraltro già previste in modo consistente dalla Legge e dai disciplinari, e le speculazioni del mercato con il blocco delle importazioni da parte dei Paesi stranieri? E’ una domanda semplice, alla quale gli allevatori vorrebbero che le Istituzioni dessero una risposta concreta. Ma immediatamente, perché domani è già troppo tardi”.
Il problema vero della fauna selvatica
La fauna selvatica rappresenta un problema da ormai almeno una quindicina di anni. E i cinghiali, portatori della peste suina africana, ne sono una componente sostanziosa. La loro proliferazione incontrollata causa danni ingenti all’agricoltura e sta anche provocando numerosi incidenti stradali. La Legge del 1992 che gestisce il controllo degli animali selvatici li considera patrimonio dello Stato e quindi vengono tutelati. Ma, come sollecitato ormai più volte dalla Cia nazionale e da quelle territoriali, la normativa richiede una riforma urgente per fronteggiare seriamente la questione attraverso un’efficace politica di contenimento degli ungulati.
Dice Varrone: “Sulla gestione della fauna selvatica in troppi hanno proposto delle soluzioni senza arrivare, però, a delle decisioni pratiche. Invece, ad esempio, per i cinghiali, bisogna abbatterne la quantità necessaria così da ottenerne quel contenimento utile a evitare danni sempre maggiori all’agricoltura e non solo. Nei confini imposti dalla Legge nazionale, in Piemonte l’assessore Protopapa ha portato avanti qualche percorso come la caccia selettiva. Ma non basta. Se la fauna selvatica e i cinghiali sono proprietà dello Stato, o lo Stato paga tutti i danni che gli animali producono oppure pone mano alla Legge rendendo possibile un loro abbattimento in termini accettabili”.
Perché non si è mai trovata una soluzione? “Non è mai stata gestita la situazione, considerando l’abbattimento uno sport, cioè la caccia in termini generali, e quindi un gioco e non un problema. E fino a quando si continua a vederlo come uno sport e un gioco, il problema rimane. In questo modo, soprattutto i cinghiali hanno raggiunto una quantità di popolazione ormai fuori controllo che scende a valle e diventa molto pericolosa”.
c.s.