Alberto Racca, quali sono le caratteristiche che la contraddistinguono?
«Sono una persona curiosa. A volte in maniera quasi ossessiva. Sono un grandissimo appassionato di viaggi. Ho voglia di far accadere le cose, di trovare un impatto positivo. Questo mi ha dato una spinta, quando ho iniziato a lavorare abbastanza giovane (a 23 anni) per McKinsey, uno dei pochi posti dove non dovevi sentirti dire “sei troppo giovane”».
Oggi i giovani si sono adeguati a una realtà problematica?
«Da quando ho iniziato a lavorare non mi sono ancora trovato in un contesto economico facile. Per quella che è la mia esperienza, penso che un giovane italiano tenda a non spaventarsi di fronte ad un problema o a qualcosa che non va, perché cosa che potrebbe accadere ad uno Scandinavo, ad esempio, che vive in un sistema super efficiente e rischia di andare in tilt se una minima cosa non funziona. Diciamo che noi italiani siamo abituati a vivere in realtà sfidanti, e abbiamo imparato ad affrontarle senza demoralizzarci».
Lei è nato a Moncalieri, ha studiato a Londra e lavorato a Milano. Come si trova ad Alba?
«Ho quattro nonni nati qui, nel raggio di 50 chilometri: a Barbaresco, Mango, Dogliani e Sanfrè. Però non avevo mai interagito con questa zona. Ho trovato competenza, persone preparate e capaci. A volte forse si sconta un filo di autoreferenzialità, ma è normale quando sei in un posto troppo bello seppur isolato, perché questa è una zona ancora isolata dai trasporti. Questo è un rischio su cui a volte in azienda metto in guardia: c’è un mondo fuori, non così bello, ma c’è un mondo».
Per Miroglio la ricetta è: la forza delle idee?
«Faccio un passo indietro. Alla fine, perché siamo qua? Perché chi comanda è la cliente. Sembrerà banale, però quando un’azienda è grande, legata a gerarchie, c’è la tentazione di guardare molto a se stessi e non fuori, verso la cliente. Questo è il punto di partenza. Il nostro è un business semplice. Se conosci la cliente, devi andarle incontro. Come cambia il mondo, sta cambiando anche lei, è omni-canale. Le idee sono funzionali a servirla meglio, a farla sentire sempre più vicina».
Per una funzionalità più operativa?
«Più pratica».
Ci parli del famoso Board Ombra…
«L’anno scorso eravamo di fatto in pieno lockdown, con i centri commerciali chiusi, e ci chiedevamo come poter massimizzare. Allora abbiamo fatto un “brain storming” con dodici persone giovani e sono venute fuori idee nuove, più semplici, innovative e concrete. Ci siamo detti: perché non farne un metodo? Il Board Ombra è nato lì. A qualcuno è venuto un dubbio: se le informazioni più o meno riservate vengono condivise, che cosa succede? Ecco, non succede niente. Le persone sono responsabilizzate, coinvolte, e sanno gestire meglio tutto».
Caratteristiche richieste per lavorare qui?
«Siamo un’orchestra e cerchiamo profili diversi. Una persona di prodotto deve avere “skill” differenti rispetto a chi fa l’analisi dei dati. Prima di tutto, conta essere imprenditoriali, persone che siano disposte a fare tutto, a spianare qualsiasi strada per arrivare a costruire qualcosa di bello, realizzare progetti. Altro punto è, mi ripeto, pensare avendo la cliente in testa. Terzo è usare il dato, l’evidenza che vale per tutti».
Una sua caratteristica che si è portato dietro dall’esperienza in McKinsey?
«Imparare a imparare. Meglio se in fretta. Così si… impara anche a dare le giuste priorità, a identificare le due-tre cose chiave in ogni situazione».
Da quale dei vostri brand si aspetta risultati maggiori?
«Abbiamo lavorato per dare autonomia e indipendenza ai brand per focalizzarsi su clienti diverse, lo abbiamo fatto anche con strutture più corte, con meno strati. Questo è fondamentale. Ogni brand sta lavorando per la propria cliente, per svilupparsi. Oggi interpretiamo le tendenze e le richieste del mercato al meglio, ci concentriamo dove le attenzioni delle consumatrici sono in crescita e su cui c’è molta attesa (penso al fenomeno della “size extension”) e da qui possono venir fuori risultati molto positivi».
Che cosa è cambiato in meglio rispetto alla Miroglio di prima?
«Non amo valutare per differenza. Penso, però, alla velocità, al modo di fare le cose, rapido e centrato sulle idee. Un’organizzazione snella dove chi fa bene, può crescere. Abbiamo promosso molte persone dall’interno. Non siamo autarchici, ma questo è messaggio importante».
Torniamo alle sue passioni, ci diceva dei viaggi.
«Peccato che in questo periodo si possa viaggiare poco. Per me è puro ossigeno, se ti metti in gioco ricevi tanto. Sono inoltre un lettore incallito, la passione è per tutto il mondo dell’economia dello sviluppo. Ma ciò che mi prende maggiormente in questo momento sono i miei due figli piccoli».
Londra che cosa le ha insegnato?
«L’importanza della semplicità. Avere strutture corte in azienda e un approccio diretto con le persone, dire le cose in modo schietto».
Anche nelle Langhe ci sono stati e ci sono, per lei, modelli imprenditoriali?
«Penso ai miei nonni. Avevano un approccio e un rispetto verso il lavoro, incredibili. Con la capacità di prendersi dei rischi calcolati. Cosa che mi stupiva e che però ho rivisto qui tante volte. Ma questa è una zona benedetta, di una bellezza non comune, in cui è bello perdersi. E ha ancora tanto margine per farsi conoscere».
Le idee dove porteranno Miroglio?
«Abbiamo tanti dati e l’85% delle clienti fidelizzate, possiamo offrire continuamente qualcosa che le interessi. Non è questione banale. Oggi stiamo vedendo i cambiamenti delle abitudini di acquisto e non solo. Questo ci guida per capire cosa offrire in negozio. Abbigliamento, sì. Ma anche prodotti complementari, lo sconto oppure lo shopping a casa».
Insomma, il periodo è difficile ma stimolante?
«È un periodo in cui il costo dell’inerzia è aumentato drammaticamente. Allo stesso tempo, cammina l’uomo che sa bene dove andare».