Ci sono due cose che Cristina Frascà sa fare bene: insegnare (lo testimoniano l’attaccamento che le dimostrano i suoi alunni della scuola primaria) e raccontare storie. A maggior ragione quando lo fa rispettando il primo comandamento del buon narratore, ovvero “Parla di ciò che conosci bene”. Così è stato nel caso del suo romanzo “La supplente”, uscito a settembre e ben accolto dal pubblico, da subito solidale con la protagonista, una che dimostrerà di saper supplire non solo fornendo nozioni ai suoi allievi.
Il romanzo è stato scritto prima della pandemia, dunque non parla delle ripercussioni del Covid sul mondo della scuola. Se nascesse ora sarebbe diverso?
«Dato che è in corso la stesura del seguito, mi sto interrogando proprio su questo: far entrare o meno il Covid nel racconto? Descrivere Anna alle prese con la famigerata Dad? Non mi sono ancora risposta, ma per il momento non lo sto facendo perché mi piace parlare di scuola in presenza, di scuola vera. Quel che abbiamo vissuto in questi ultimi anni è stato un compromesso necessario per non spezzare il legame con i ragazzi, affinché non venisse meno l’obiettivo che hanno tutti quelli che lavorano nella scuola, ovvero aiutarli ad auto-formarsi, però la scuola è un’altra cosa. La scuola è vita insieme, è competizione e solidarietà, non solo passaggio di informazioni. Per quanto insegnanti e alunni si possano impegnare, con la didattica a distanza l’essenza della scuola, se non assente, è perlomeno “raffreddata”. Comunque se nel sequel dovesse comparire la Dad avrei qualche suggerimento per Anna, perché nel periodo in cui non abbiamo potuto far lezione in classe io e i colleghi ci siamo davvero ingegnati e sono venute fuori un bel po’ di idee…»
Che si possa far fronte a queste difficoltà proprio con insegnanti come la sua Anna Tosetti?
«Non so se Anna possa essere un modello, ma di certo è una docente capace di una cosa a mio avviso imprescindibile per chi fa questo mestiere: imparare dai propri alunni. Noi insegnanti siamo studenti che hanno scelto di non smettere di andare a scuola e di farne una professione; è vero che siamo lì con un altro ruolo, ma penso che l’idea che si vada a scuola per imparare ci sia rimasta appiccicata. Anna l’ha capito e ha capito anche che gli alunni devi andarli a prendere là dove sono e accompagnarli, a prescindere dai paletti del programma».
Infatti hanno paragonato la sua protagonista a Bridget Jones, ma con la sua prima coinvolgente lezione sulla poesia mi ha fatto pensare innanzitutto a John Keating, il professore del film “L’attimo fuggente”.
«Mi sembra un paragone azzeccato. Anche quell’insegnante vuole mostrare ai ragazzi il mondo da un altro punto di vista, spiegargli che l’errore fa parte del nostro percorso di conoscenza e di crescita, e aiutarli a comprendere che ognuno di noi ha capacità che non ha mai considerato. Penso sia importantissimo mettere in luce le doti dei ragazzi, dire loro apertamente quando sono bravi a fare qualcosa, anche se non c’entra niente con la tua materia».
Il suo è, insomma, anche un romanzo di formazione per insegnanti…
«In un certo senso sì. Ho ricevuto proprio oggi una lettera di una ex collega che mi ha scritto che in questo periodo di grande fatica ha trovato nella lettura del romanzo uno stimolo, quasi un promemoria della passione che l’ha portata a scegliere quel lavoro tanti anni fa. Mi ha fatto molto piacere».
Con che occhi guarda adesso al suo primo romanzo?
A “Egò” guardo con grande simpatia, perché penso che lì dentro ci siano cose che mi piacciono molto, ma anche che avrebbe bisogno di un editing… diciamo che andrebbe messo a dieta, come Anna! Manterrei però l’ossatura e i personaggi, in cui credo molto e a cui mi sono affezionata; volevo sapere cosa gli fosse successo quindici anni dopo, quindi ho scritto il seguito, che per ora resta nel cassetto».
Quali sensazioni regala pubblicare con una grande casa editrice?
«Quando ho saputo che avrei pubblicato con Garzanti ho stentato a crederci e ho avuto anche una buona dose di paura. Ho una copia del libro in sala, insieme agli altri libri, ogni tanto ci passo davanti e mi dico “Quello è mio!”. È una cosa davvero grossa per me, specie perché so quanto ci ho messo dentro e quanto ci hanno messo dentro tutte le persone che hanno contribuito alla sua uscita. Uno degli aspetti più belli di questa esperienza è stato proprio la possibilità di lavorare con una serie di professionisti capaci di darti input che, se riesci a cogliere, possono solo farti migliorare. Da un atto solitario come quello della scrittura, d’improvviso il lavoro diventa corale. Dall’agente letterario, all’editor, a chi ha curato la comunicazione, tutti sono stati estremamente disponibili e hanno dato un apporto fondamentale, così come chi ha ideato la copertina, che è perfetta: Anna è proprio una che ha la testa tra le nuvole e tra i libri ed è capace di dimenticarsi cose a volte fondamentali, come le scarpe!»