All’inizio -e lo sa soprattutto chi adesso, a Canale, è adulto e con prole- era una suggestione quasi “tecnologica”: probabilmente alla portata di tutti, senza dubbio per gli occhi e le orecchie dei bambini che eravamo.
«Ecco, lo vedete? Cosa vi sembra?». Parlava così, con l’immutata voce entusiasta, don Angelo Conterno. Parroco di allora, e sempre amico della capitale del pesco: per cui il fatto di accompagnare classi di alunni e catecumeni, proprio lì in quell’angolo della chiesa parrocchiale, era una sorta di rito nel rito. Gli piaceva portare i bambini proprio in quel punto a fianco dell’altare, da cui partono ancora le note dell’organo suonato da talenti di oggi e di ieri come Alessandro Coscia, Gianni Cerrato, Enrico Delpero, Giorgio Vezza, Andrea Vico, tanto per citarne alcuni. E che, tante volte, erano il primo occhio amico quando entravi lì, in quel punto che aveva qualcosa di “più sacro del sacro” tra le mura del San Vittore.
Una telefonata verso il Cielo
Invitava ad ammirare quella Madonna con il Bambino in grembo, dorata eppure scura: e quei tondi che la circondavano, sul muro. «Non somigliano ad un telefono?», interrogava, con quel suo leggero “esse sibilante” che faceva subito musica, d’attorno. A volte, era qualcuno di noi a indovinare la risposta: Bravi! Questo è come un telefono con la rotella, come c’è a casa vostra: solo che, invece dei numeri, ci sono i Misteri del Rosario.
Istanti: quelli di un tempo, aguzzando la vista nella semi-oscurità di quella parete, per capire di più il “cos’è” di quel grande racconto di Fede che passa tra la vita della Beata Vergine, i fatti della Passione, la salita al Cielo.
Un patrimonio da salvare
Istanti, appartenenti anche alla piena attualità: per un luogo in cui si intrecciano vite, cultura, arte, e anche urgenze piene. Il Consiglio Parrocchiale sta correndo contro il tempo, ora per “salvare” questo angolo della Parrocchia nel capoluogo: in una delicata opera di restauro che si è resa irrevocabile dopo i fatti alluvionali dell’estate 2019.
Ci è voluto un po’ di tempo, per realizzare l’entità di un danno che si era inizialmente manifestato nel riversamento di acqua piovana tra la volta e il soffitto di questo segmento dell’edificio sacro. Un’avversità meteo: ma anche un modo per invitare la collettività a “fare quadrato”, in una sezione di chiesa persino ricca di risvolti intimi, privilegiata dalle famiglie e anche dai cori delle Pie Donne, uguali e preziosissime in ogni comunità cristiana di paese.
Il fatto è divenuto una priorità per tutti: a partire dal parroco don Eligio Mantovani, legatissimo alla Madonna del Rosario che qui -destino?- guarda in faccia alla pittura del Santo Eligio Vescovo, in una cornice in cui trovano spazio le effigi stellate dei Santissimi Paolo, Giovanni e Giacomo, opportunamente rimosse temporaneamente per lasciar spazio al cantiere sempre più imminente.
Si conosce relativamente poco, su questo punto della chiesa: ciò che è certo, però, è che questa non è la prima volta in cui si annodano qui ragioni religiose, umane e naturali.
Tra nobili, cronache, ossa e pallonate
E sì che, un tempo, lì poggiavano l’altare e i banchi riservati alla nobile famiglia Roero nelle loro partecipazioni alle celebrazioni religiose: un punto poi spostato sul lato di via Roma, in contrapposizione a quello dell’emergente stemma nobiliare dei Malabaila posto invece lateralmente, sull’altro fronte della chiesa, parallelo alla “sternìa” di via Roma.
Il tutto, dimostrato anche tramite le ricostruzioni delle visite pastorali e dei documenti perfettamente ordinati dallo storico Baldassarre Molino: vero “padre” della storia roerina, cui sarebbe opportuno esprimere piena riconoscenza ogni volta in cui ci si addentra nella storia -e nelle storie- della Sinistra Tanaro.
A proposito di famiglia Roero: nell’epoca pre-Napoleonica (ossia, quando ancora le sepolture si tenevano nelle aree di chiesa, dentro i centri abitati), proprio lì sotto riposarono le prime spoglie mortali “di sangue blu”, a partire dal periodo di comando di Bartolomeo Roero. Un fatto del 1440, il periodo in cui per la prima volta ci si propose di dotare la chiesa di un “vero” campanile.
Non accadde sino agli Anni ’30 del Novecento, per ragioni “politiche”: la comunità continuò a preferire, come torre campanaria, quella comunale che ancora oggi si erge -muta- alle spalle della confraternita di San Giovanni, come segno plurisecolare di “indipendenza” dai parroci su un compito ufficiale come… il suono delle campane. Ci volle appunto il Ventennio, per cambiare rotta: quando Monsignor Luigi Sibona, fervente antifascista, decise di elevare sopra la chiesa -rivedendo, peraltro- le pareti di sostegno alla Cappella del Rosario- il monumentale campanile del Sacro Cuore che è ora l’ideale protettore della terra canalese.
Non sempre ha avuto questa dedicazione, tale punto della chiesa: votandosi per un certo tempo anche a Sant’Orsola e San Filippo Neri, ma anche al pallone (all’epoca, a fine ‘700, alla “pila palmaria”: antenato del balòn) in un segmento di tempo in cui la chiesa risultò di fatto aperta su questo lato. Il motivo? Una catasta di ossa disseppellite dai monatti di turno, ammassate esageratamente nel porticato ove oggi si trova la copia del Sacro Cuore da condurre in processione per la festa di giugno, finito per cedere. Al punto che l’Arciprete di allora fu costretto ad intimare lo sgombero dell’area, a pena di bastonate per gli incauti “addetti alle sepolture”.
“Dentro” il restauro
Storie e fatti che il tempo ha fatto sedimentare: sino alla quiete, e sino ancora alle criticità meteo del 2019 cui ora si porrà rimedio.
Cosa accadrà, fisicamente, nella cappella del Rosario? I lavori partiranno in questi giorni, grazie anche ai contributi generosi della popolazione (la sottoscrizione è ancora aperta, contattando la segreteria parrocchiale), con la temporanea chiusura dell’area e l’impegnativo spostamento della consolle dell’organo.
La stessa amministrazione civica ha saputo rispondere “presente”: così come, del resto, nei mesi scorsi aveva replicato in maniera affermativa ad un’altra importante richiesta d’aiuto, rivolta in quel caso alla chiesa campestre di Madonna di Loreto ove -insieme alla pieve “emerita” di San Vittore sopra corso Asti- Canale trova le proprie radici storiche. Sotto la regia della restauratrice torinese Silvia Gayet e dell’architetto Giampiero Lusso di Guarene, ci si muoverà verso la rimozione dei sali sulle pareti, e la ricostruzione delle pitture: compresa la rappresentazione dell’Assunzione di Maria che si trova sulla sommità.
Un ultimo tocco riguarderà l’iniezione di calce sull’altare della Madonna, ove poggiano i “rotondi” del Rosario: e sarà, idealmente, un modo per ricominciare a ricomporre quei numeri verso l’Alto, come segno di speranza ma anche di appartenenza forte ad un patrimonio davvero di tutti.
Paolo Destefanis