«Quando sono felice rendo di più anche sul palcoscenico»

Una sorprendente Diana Del Bufalo

0
260

Picchio verde, picchio rosso maggiore, saltimpalo, pettirosso, codirosso, cardellino, ghiandaia, occhiocotto, fagiani. Pure i fagiani. Snocciola i nomi di tutti i volatili che circolano intorno alla sua casa, nella campagna a sud della capitale. Uccelli e uccellini che osserva attentamente con il binocolo e, con la passione di un’ornitologa, cerca di classificarne le diverse specie. Ama gli animali, anzi è proprio animalista, che è qualcosa di più di una signora che convive coi gatti e porta a spasso i cani di piccola taglia. È vegetariana da circa dieci anni e, a dispetto del nome, detesta la caccia. Vegana no perché «non potrei mai rinunciare alla pizza margherita». Le uova invece sono quelle delle galline che razzolano libere in cortile, di cui si prende cura la mamma e gli zii.
Diana Del Bufalo non finisce di sorprendere.

Trent’anni, cantante, attrice e conduttrice televisiva, personaggio cult di tante fiction e serie tv, simpatica e bella di una bellezza sana, naturale, piena di grazia e allegria, portata con noncuranza, senza contarci troppo, ben consapevole che sono altre le cose che servono per fare spettacolo.

Ora è impegnata nel musical “Sette spese per sette fratelli”, che ha debuttato a Roma al Teatro Brancaccio e sarà a Torino, al Teatro Alfieri, dal 22 al 27 febbraio e poi a Milano dal 10 al 27 marzo, dove recita, balla e, soprattutto, canta da Dio.
Memorabile la scena in cui Platinette, in versione “nature”, si spogliò in diretta nel programma Amici in segno di protesta per la sua eliminazione. Secondo Mauro Coruzzi infatti (non proprio un profano in fatto di musica) Diana possedeva un “talento invasivo tra i più brillanti degli ultimi anni” e una “versatilità” che avrebbe messo a tacere chi quella volta non l’aveva premiata.

Insomma, una promessa. Da allora sono passati più di dieci anni. È stato facile non deludere le aspettative?
«Ho subito diverse bocciature e in teatro questa è la prima volta, il primo approccio con il musical come interprete. Ho fatto cinema e televisione ma ho sempre sentito dire che se vuoi essere un bravo attore devi fare teatro. Al cinema si prova e riprova finché la scena non è quella giusta, in teatro no. In teatro il riscontro con il pubblico è immediato, le reazioni sono fresche, l’energia arriva diretta. E io volevo provare con il teatro. Dopo alcuni tentativi andati a vuoto mi sono improvvisamente arrivate tre proposte contemporaneamente, tre musical».

E com’è che la scelta è caduta su questo?
«Per il titolo, visto che conosco molto bene il film di Stanley Donen, quasi un appuntamento annuale, e per lavorare con Luciano Cannito e Peppe Vessicchio. Mi piace lavorare con persone che vibrano alla mia stessa frequenza».

È d’accordo che la regia di Luciano Cannito abbia rivisitato il film in chiave più femminista?
«Più che femminista è una lettura moderna, molto allegra, con tanti spunti comici. Forse il film ha una chiave più maschilista, ma la storia non può essere modificata. Io poi, per quanto riguarda il rapporto con gli uomini, faccio me stessa: cioè li tratto da pari».

Qui il suo personaggio, Milly, compie un vero e proprio atto di trasformazione, molto teatrale di per sé.
«Sì, li trasforma da buzzurri e scapestrati a “cittadini”, come si dice nel testo. Però in fondo a loro piace questa trasformazione. Sono contenti di essere civilizzati».

Come si sente una protagonista al suo primo ingaggio in palcoscenico prima che si apra il sipario?
«Posso dire che quando sono felice rendo molto di più, sono più concentrata».

Com’è il rapporto con Baz, il suo compagno di scena?
«Bellissimo. Siamo complici e credo che la chimica che si è stabilita tra noi si veda. Lui è un attore comico e offre allo spettacolo tante occasioni di comicità».

Lei è figlia d’arte, sua mam­ma è un soprano lirico, il can­to fa parte della sua formazione, lo ha respirato fin da bambina.

«Infatti. Mi portava con sé quando andava in tournée, anche lontano, in Romania, per esempio. E quando la sentivo cantare mi commuovevo anche se ero piccolissima».

Le opere a cui è più legata?
«“Le nozze di Figaro” che conosco a memoria, “Tra­via­ta”, “Aida”, “Madame But­ter­fly”».

Cosa le ha detto dopo avere visto lo spettacolo?
«Le è piaciuto moltissimo e lo continua a rivedere. Sarà già venuta otto volte».

Come spettatrice, a parte le opere liriche, da cosa è stata colpita? C’è uno spettacolo o un momento particolare grazie al quale ha scelto di fare l’attrice?
«“42nd Street”, visto a Broadway da piccola. Rimasi a bocca aperta».

Qual era il suo gioco preferito?
«La Barbie, avevo tutto: il treno, l’aereo. Mio fratello mi ha appena regalato Barbie Diana Ross, da collezione».

Già, Diana. Come lei e come la dea della caccia. Curioso per un’animalista. Ironia della sorte?
«Il mio nome lo ha scelto mio padre, che è un archeologo ap­passionato di mitologia gre­ca. Mio fratello si chiama Gia­no, come il dio bifronte che guarda al futuro e al passato».

Allora per restare in famiglia, è vero che è molto legata a sua nonna?

«Moltissimo. Ha 92 anni e coltiva rose antiche. Ha uno dei più importanti e visitati giardini d’Italia, con alberi e rose da tutto il mondo, anche portate dal Giappone, nei suoi viaggi».

Qual è il suo fiore preferito oltre, immagino, alle rose?

«I tulipani mi trasmettono una sensazione di pace, le orchidee, e poi dei fiorellini pic­coli di cui non ricordo il nome… mi pare ci sia la parola “leone”».

Il suo viaggio del cuore?
«Le Maldive. Ci sono già stata tre volte ed è un posto dove non puoi che essere felice».

Articolo a cura di Alessandra Bernocco