«Al tg leggo le news e sui canali social apro il dibattito»

Casillo: «Così provo a superare i limiti della telecamera»

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Sulla sua pagina Insta­gram usa le notizie che hanno animato il telegiornale di Sky come spunti per approfondimenti ulteriori. Un modo intelligente per gestire i social, alimentando il dialogo con i follower e/o con gli spettatori. Che poi spesso si tratta delle stesse persone. Luigi Casillo, volto di Sky Tg24, ci spiega come è nata e si è sviluppata questa idea.

Non solo news: il suo account diventa il luogo dove tornare sugli argomenti di attualità per andare oltre i tempi della diretta. È un meccanismo che funziona?
«È qualcosa che mi piace molto. Partiamo da un dato di fatto: quando leggo il tg lo spettatore è dall’altra par­te, oltre lo schermo. E non c’è scambio di idee in quel contesto. A me però piace co­municare e apprezzo le persone molto comunicative. Io stesso tendo ad ac­centuare la mia comunicatività con gesti e sorrisi, però il limite è pur sempre rappresentato dalle telecamere. Invece, nel caso dei social media si può sempre avere un feedback diretto rispetto a ciò che si riesce a comunicare. In co­da ai miei post leggo commenti alle notizie, veri e propri approfondimenti e anche suggerimenti. In base a questi, mi capita di prendere spunto per parlare di determinati argomenti. Allora si crea un rapporto diretto con il lettore, oppure con il telespettatore. Nel mio caso si sovrappongono. Insomma, ne viene fuori un grande blog che rende più interessante il rapporto con chi mi ascolta oppure guarda o leg­ge».

Spazia da un argomento al­l’altro: da cosa nasce questa versatilità?
«Non ho una vera specializzazione e poi, a dire la verità, il tg racconta l’attualità e mi guida nel corso della giornata attraverso il racconto di quello che succede. Nei social, invece, generalmente sono io che scelgo. Lo faccio in base a ciò che mi incuriosisce, talvolta seguo qualche suggerimento, ma solo se lo ritengo utile nel discorso che porto avanti con i lettori. Oppure mi capita di ri­spondere a un bisogno, a una richiesta d’aiuto. È successo per esempio con una persona che mi ha raccontato le problematiche che, a causa delle chiusure, stavano vivendo i genitori in attesa di poter adottare i bimbi dalla Bie­lo­russia. Era tutto sospeso, ho semplicemente dato ascolto a una richiesta di maggiore visibilità. Ma lo faccio quando reputo che approfondire un argomento sia a vantaggio di tutti».

Abbiamo notato un suo post di approfondimento sulle periferie milanesi…
«Sì, era un servizio per il telegiornale di qualche settimana fa. È un tema che mi sta a cuore, perché prima di condurre il tg, per anni, sono stato responsabile della redazione di Milano a Sky e gestivo un gruppo di colleghi per coprire l’informazione. Ave­vo già questa idea fissa sulle periferie, ho sempre creduto che per capire davvero una grande città si debbano prima comprendere le sue periferie. L’ho fatto non solo personalmente, ma mandando spesso colleghi a realizzare servizi, ricavandone un racconto molto in­teressante che poi ho declinato sotto tutti i profili. Sono andato a vedere il tema delle case popolari e degli appartamenti occupati, uno dei problemi fondamentali in questo periodo. Ho parlato di rap, del volontariato che si fa in queste aree. Posso dire di co­noscere tutte le periferie di Mi­lano, dettaglio importante per raccontare al meglio la città».

Passiamo ad altro: cosa pensa dei venti di guerra in Ucraina?
«Come ho provato a spiegare nei miei post, secondo me c’è una regola base per capire quello che accade in ogni situazione sul pal­coscenico internazionale, qual­cosa che vale sempre. Biso­gna guardare a tutti gli attori che fanno parte di quella commedia, valutare per ognuno che cosa hanno da guadagnare e da perdere anche sui fronti interni. Si giocano più partite, ciascuno deve fare i conti con le questioni di casa. Biden, per esempio, deve preoccuparsi del suo tasso di po­polarità in discesa. Putin ha il pro­blema della crisi economica mentre lui stesso deve tenere in piedi un blocco di potere che non può durare all’infinito, lui lo sta facendo da più di due decenni. Sullo sfondo, c’è la questione del­la Nato che può sembrare un pretesto ma che ha una ragione d’essere, è un elemento centrale in questa vicenda».

La situazione può precipitare?

«Dubito che si arriverà a un’invasione vera e propria, ma lo vedremo. Forse ci sarà qualche scaramuccia al confine, nella zona del Donbass, per sottolineare e rendere più incisiva la presenza russa agli occhi delle repubbliche che guardano a Mosca… Forse ci saranno sviluppi ma non credo un’invasione, nel caso però sono scettico che gli occidentali possano rispondere, non potendo avviare uno scontro diretto sul campo».

Una guerra stanziale sarebbe an­che economicamente insostenibile per Putin?
«Farebbe scattare serie sanzioni economiche che potrebbero fargli molto male. A lui e alla filiera di oligarchi con cui vicendevolmente si regge in piedi. L’arma del­l’Occidente è essenzialmente un’ar­ma economica che infatti si sta sventolando ed è l’unico vero deterrente».

In un post lei accenna allo strapotere di pochi che di fatto governano il mondo.

«Non c’è da scandalizzarsi. Alla fine, guardando la storia, è sempre stato così: poche persone go­ver­nano i destini del mondo. L’im­por­tante è conoscere. Quan­do sai cosa c’è dietro, questo è l’u­nico modo per avere una via di sal­vezza. La co­noscenza rende li­beri, anche con le manette ai polsi».

Ci sono grandi interessi anche dietro alle pandemie?

«Diffido delle interpretazioni com­plottistiche, qui l’unica opacità riguarda la reale origine del virus: non si sa da dove sia derivato. Per il resto, trovo poco divertente discutere su chi ci guadagna: secondo me nessuno. Piut­tosto, nel caso di Pfizer e Mo­derna, mi interessa un’altra storia, quella di chi è capace di guardare più avanti nel futuro. Faccio un esempio. Ora ricorre Tangen­topoli, ricordo Gabriele Cagliari che morì suicida. Fu arrestato che era presidente dell’Eni, per aver autorizzato il pagamento di tangenti. Lui, però, aveva una visione del ruolo che Eni avrebbe do­vuto interpretare per l’Italia, vo­leva puntare sulle biotecnologie. Quando si uccise e ci fu il cambiamento ai vertici dell’Eni, si decise che l’Italia doveva occuparsi solo di idrocarburi. Un grande errore di cui oggi vediamo le conseguenze. Pfizer e Moderna invece han­no investito nelle biotecnologie. Ecco, questi argomenti mi interessano più dei complotti plutocratici».

Domanda di rito: conosce il Cuneese?
«Ci sono stato e so che si beve e si mangia benissimo. Ero stato a Fos­sano per i cavalcavia pericolanti, avevo mangiato le lumache. Poi sono tornato in primavera ed era tutto straordinario».