Immunità innata ce l’abbiamo tutti e funziona così

I ricercatori Isabel Pagani e Matteo Stravalaci: «Dal nostro organismo la prima risposta al Covid»

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Nel nostro organismo ci sono delle cellule e delle mo­lecole che si comportano come autentiche sentinelle: quando riconoscono agenti patogeni, dai batteri ai virus e ai funghi, intervengono immediatamente, assicurando una protezione spontanea. Si tratta della co­siddetta immunità innata, ov­vero la prima linea di difesa dell’uomo che si attiva ancor prima della risposta specializzata fornita dagli anticorpi (i quali, unitamente alle cellule T, assicurano l’immunità adattativa). Un importante studio internazionale, coordinato da Humanitas e dal­l’O­spe­da­le San Raffaele di Mi­lano, ha dimostrato che l’immunità in­nata innesca un meccanismo di resistenza anche contro il Covid-19 e le sue va­rianti, Omicron compresa. IDEA ha voluto approfondire l’interessante ricerca (che pe­raltro è stata pubblica sul prestigioso Nature Im­mu­no­logy) contattando i due giovani ricercatori protagonisti di que­sta scoperta: Matteo Stra­valaci di Hu­­ma­nitas e Isa­bel Pagani dell’Istituto di Ricerca O­spedale San Raf­faele. I due scienziati hanno operato in­sieme a un team di ricercatori coordinati da Alberto Man­to­vani, direttore scientifico di Humanitas e professore emerito di Humanitas University, Cecilia Garlanda, ricercatrice e docente di Humanitas Uni­versity, ed Elisa Vicenzi, re­sponsabile dell’Unità di Ri­cerca in Patogenesi Virale e Bio­sicurezza dell’Ospedale San Raffaele.

Lo studio, che ha coinvolto pure Fonda­zione Toscana Li­fe Science con Rino Rappuoli, l’Istituto di Ricerca in Bio­medicina di Bellinzona e la Queen Mary University di Londra, è partito dall’analisi del comportamento, in seguito al contatto con il nuovo coronavirus, delle mo­lecole presenti nel sangue e nei liquidi biologici che costituiscono la “barriera” di immunità innata. Nello specifico, si è dato seguito a una ricerca svolta alcuni anni fa, nella quale erano stati individuati alcuni geni facenti parte di una famiglia di antenati degli anticorpi. Spiega il dottor Mat­teo Stravalaci: «Concen­trandoci sull’interazione tra questi geni e Sars-CoV-2, ab­biamo scoperto che una di tali molecole dell’immunità innata, chiamata Mannose Bin­ding Lectin (Mbl), si lega alla proteina Spike del virus e lo blocca. Con l’aiuto della ricercatrice di Humanitas Sarah Ma­pelli e degli scienziati di Bel­linzona, abbiamo poi scoperto che Mbl è in grado di vedere e riconoscere Omi­cron, ol­tre alle varianti classiche del vi­rus, come Delta».

La ricerca è in seguito proseguita con l’analisi genetica dei dati provenienti dai pazienti ospedalizzati per Covid, in­crociati con quelli delle banche dati di tutto il mondo, condotta dalla professoressa Rosanna Asselta di Hu­mani­tas University. «È risultato», ha aggiunto Stravalaci, «che variazioni genetiche determinanti i livelli circolanti di Mbl sono associate a gravità differenti di malattia da Covid-19. In particolare, livelli circolanti bassi di questa molecola e­spongono i pazienti infettati dal nuovo coronavirus a maggiori possibilità di sviluppare forme severe della malattia. Va comunque precisato che a rendere un soggetto più o meno suscettibile ad ammalarsi gravemente di Covid concorrono tanti altri fattori, genetici, patologici e anche esterni».

Ora questi risultati potrebbero determinare ricadute particolarmente positive in ambito clinico. Osserva la dottoressa Isabel Pagani: «Stiamo valutando, anche sulla base di studi già in corso per altre patologie (tra cui fibrosi cistica e infezioni polmonari croniche), se Mbl possa essere un candidato agente preven­ti­vo/terapeutico dal momento che è una molecola funzionalmente simile a un anticorpo, cui le varianti del virus, almeno quelle note, non possono sfuggire. Nella nostra valutazione di potenziali farmaci anti Sars-CoV-2, Mbl dimostra un’importante attività antivirale che potrebbe essere un’arma in più contro le va­rianti in circolazione, inclusa Omicron».

E tutto ciò come si rifletterà sui vaccini? Rispondono i due ricercatori: «Al momento non ci sono dati sull’interazione tra questo meccanismo protettivo della prima linea di difesa e la risposta immunitaria indotta dai vaccini. A oggi, in particolare, sappiamo che questo meccanismo di resistenza innata, come dicevamo prima, “vede” pure la va­riante Omicron e, quindi, probabilmente contribuisce al fatto che, per quanto questa variante sia riconosciuta in forma minore dagli anticorpi, la prima linea di difesa sia in grado di reggere. Ciò non to­glie quanto già sappiamo grazie ai dati: i vaccini danno una protezione significativa e fondamentale e restano la nostra cintura di sicurezza. Gli eventuali farmaci antivirali che sono stati finora introdotti nella battaglia al Covid e quelli che po­tranno essere aggiunti, anche grazie ai risultati a cui siamo giunti, rappresentano uno strumento in più per contrastare le forme più severe. Il vaccino resta la no­stra arma più efficace. È assolutamente insostituibile».