Avete presente quando qualcuno dice che un determinato libro gli è entrato in testa? Ecco, è ciò che succede dopo aver letto “Sterilità”, l’opera d’esordio di Linda Arnaudo, giornalista e comunicatrice saluzzese, classe 1989. Si tratta di un romanzo psicologico ben architettato e sviluppato che, fin dalle prime pagine, tra rancori, passioni e insoddisfazioni, riesce a indagare le ossessioni più profonde dell’essere umano. Lo fa attraverso le emozioni, le riflessioni e le azioni dei protagonisti: Sofia, la giovane che dalla grande città si trasferisce in provincia, il marito Antonio, la cognata Elsa, suo marito Ernesto e il critico teatrale Stefano. I cinque personaggi, paragrafo dopo paragrafo, si trovano a fare i conti con la propria infanzia, spinti da parole, rumori e oggetti. Alla fine di una lotta mentale e fisica, ciascuno troverà il modo migliore per sopravvivere. Anche a costo di sacrificare le esistenze di chi li circonda.
Arnaudo, si inizia a riflettere fin dal titolo…
«Sofia e la cognata Elsa non hanno figli. Non se ne conoscono le ragioni e, quindi, si potrebbe immaginare che la “sterilità” riguardi una loro presunta condizione fisica».
Ma non è così.
«La “sterilità” che emerge nel corso del racconto è una condizione morale ed emotiva che accomuna un po’ tutti i cinque personaggi principali. Si tratta di una sterilità legata all’aspetto esistenziale, al modo che ognuno ha di rapportarsi con sé stesso – ricorrendo addirittura ad atteggiamenti autopunitivi – e con gli altri».
È una caratteristica della nostra società “post Covid”?
«Pensavo che le clausure forzate, per certi versi innaturali, avrebbero obbligato chiunque a fare i conti con la propria coscienza e, in generale, a rivalutare le cose che sono più importanti nella vita. In realtà, non credo sia andata così, nel senso che chi era una persona arida prima della pandemia è probabilmente rimasta tale, e viceversa».
I suoi personaggi, invece, cambiano modo di pensare.
«Sì. Si evolvono ponendosi continuamente domande».
Cosa li spinge a interrogarsi?
«Cercano di comprendere se le loro azioni siano coerenti con i loro princìpi o meno. E lo fanno, in alcune circostanze, anche con espressioni o azioni dure, forti, quasi come se fossero immersi in un thriller. Ciò spinge il lettore a porsi a sua volta delle domande, a chiedersi come si sarebbe comportato in quel determinato frangente».
E cosa si scopre?
«Che spesso ci si trova a dover mettere in discussione il proprio modo di essere».
C’entrano i rimorsi?
«Certo, ma poi subentrano pure la rabbia, la volontà di riscatto, il desiderio di rivendicare qualcosa. A volte, poi, i miei personaggi vorrebbero essere più misericordiosi, quasi clementi l’uno con l’altro. E così mostrano vicendevole empatia, nonostante le contrapposizioni».
Ma è solo un attimo…
«Sì, perché nelle loro menti tornano a fare capolino ossessioni, contrasti, sospetti e supposizioni. Bastano quindi una parola o un gesto a far tornare la sterilità di fondo».
Si sente che è molto legata ai suoi personaggi.
«Ciò che mi ha colpito durante la scrittura del romanzo è stata la spontaneità con cui si sono delineate le caratteristiche dei protagonisti. Li avevo concepiti in un modo, ma con le loro azioni sono diventati tutt’altro, interferendo non poco con il mio lavoro, un po’ come fanno i protagonisti di “Happy Family” di Salvatores».
È appassionata di cinema?
«Fin da piccola amo sia il cinema che la scrittura, due arti che si completano a vicenda, due modi di guardare e raccontare il mondo».
Nel mondo che racconta lei emerge anche la contrapposizione tra grandi città e paesi di provincia.
«È una situazione in cui, sempre più spesso, capita di imbattersi. Da una parte ci sono le grandi città veloci e dinamiche, che fanno pensare rapidamente ma che, al contempo, rendono quasi anonimi. Dall’altra parte, ci sono le realtà più piccole e lente (ma solo all’apparenza) che scrutano ciascun individuo con la lente d’ingrandimento…».
Quanto c’è di personale nel suo romanzo?
«Ci sono istantanee e frammenti di territori conosciuti, di luoghi visitati e di persone incontrate, rielaborati secondo il punto di vista dei singoli personaggi. Loro vivono lo spazio e il tempo anche attraverso il cibo, la musica, i profumi e l’arte».
Insomma, gli spunti non le mancano proprio. Sta già progettando il sequel?
«In effetti, ho già in mente un incipit e almeno due trame, ma non so ancora quale delle due svilupperò e se magari ne spunterà una terza. Quello che so per certo è che per concludere il libro non aspetterò un nuovo lockdown come ho fatto questa volta… (ride, nda)».