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«La scritta a Torino ha riacceso l’amore per il nostro pianeta»

Gli "Eugenio in Via Di Gioia" e la loro rivoluzione per un mondo migliore

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In queste settimane difficili, uno spiraglio di speranza si è avuto nei giorni scorsi, quando, in una sola notte, in Piazza San Carlo a Torino è apparsa un’immensa scritta, completamente realizzata con i gessetti: «Ti amo ancora». Ad architettarla è stata la band musicale piemontese Eugenio in Via Di Gioia per rilanciare due grandi temi: l’importanza dell’amore e, in particolare, dell’amore per il pianeta Terra. Ne abbiamo parlato con Eugenio Cesaro, front­man del gruppo, che ha preso parte come relatore al TEDxCuneo, di cui Rivista IDEA e IDEAwebtv.it sono stati media partner.
Cesaro, com’è nata la “follia” del “Ti amo ancora”?
«È un’idea partita in sordina nel grup­­po Whats­app in cui ci confrontiamo
su progetti e iniziative. Ci siamo resi conto che negli ultimi due anni, per via della pandemia, siamo stati fermi fisicamente, ma questo ci ha permesso di riflettere e scrivere molto. In particolare, ci è servito per prendere coscienza della casa che ci ospita, il pianeta Ter­ra».
E come ha preso corpo l’iniziativa?
«Abbiamo condiviso la nostra idea con il gruppo Telegram dei nostri fan e da lì è stato tutto rapidissimo. Ottenuta l’autorizzazione del Comune di Torino, abbiamo immaginato il flash-mob, ma forse mai avremmo pensato che sarebbe riuscito così alla perfezione. Anche a livello artistico, non male… Teme­vamo che sarebbe venuta una scritta pessima, invece, grazie alle diverse tecniche di tutti, è emerso un ottimo lavoro. E poi ne hanno parlato in tanti, perché a lungo è rimasto il dubbio su chi fosse il vero autore di quella scritta (ride, nda)».
I partecipanti come l’hanno vissuta?
«Quella è stata la parte più bella. Di quella scritta, non conta tanto il contenuto, quanto il come è stata prodotta. Oltre 150 persone hanno disegnato per tutta la notte, scherzando, stringendo amicizie. Una comunità che si è messa in gioco per un obiettivo comune. Per riprendere il titolo del TEDxCuneo, è stata un’iniziativa in cui lo spirito Ubuntu, del singolo che è parte di un “noi” più ampio, era al centro».
A proposito, nel suo talk ha parlato di cosa augurerebbe a suo figlio nel futuro. C’è anche un pianeta migliore?
«Sicuramente sì. Quello che spero possa tornare, soprattutto, è un pensiero a lungo termine, che si è un po’ perso. Lo stesso pensare ai figli è un qualcosa che non si fa più, o che si fa molto tardi nella propria vita. Tutto questo, perché quello di oggi è un mondo che va di corsa, in cui conta solo l’iper-connessione con l’attualità. Credo che internet e la tecnologia ci abbiano portato tante rivoluzioni positive, ma anche qualche effetto indesiderato. Io, avendo più di trent’anni, mi reputo a metà tra il mondo di prima, più riflessivo, e quello di oggi, in cui si corre, senza dare il tempo alle esperienze di sedimentarsi nel nostro vissuto. Occorre insegnare a chi verrà che avere pazienza è la cosa più importante».
Ci sarà anche questo nel vostro prossimo disco, in uscita a maggio?
«Sì, molto. “Ti amo ancora” è stato un assaggio dei temi che affronteremo. Al centro, ci sarà appunto l’importanza della dedizione, verso l’altro e verso il pianeta, attraverso un’attitudine romantica, propensa a credere nell’impossibile e a immaginare un mondo utopico completamente rinnovato, più vicino al prossimo e alla Terra».
E poi?
«E poi, un mondo più lento, più disposto a camminare, senza dover per forza correre. Un mondo che non guardi sempre al domani e che sappia apprezzare il momento vissuto e valorizzarlo».
A settembre saranno dieci anni di “Eugenio in Via Di Gioia”. E voi, avete saputo vivere il momento?
«Credo di sì. Siamo partiti camminando, facendolo per divertimento da studenti universitari, poi è diventato qualcosa di più. Nel tempo, abbiamo capito due cose. In primis, il valore della democrazia che sa valorizzare le attitudini: essendo una band, abbiamo imparato a confrontarci su tutto, riconoscendo, però, delle specializzazioni. In secondo luogo, l’importanza della pazienza. Volere tutto e subito non è sano e non porta a nulla. Un po’ come il cubo di Rubik, la mia grande passione: per completarlo, serve soprattutto la voglia di provare, senza mai desistere. Non ci sono altri segreti».
Dovesse tracciare un bilancio?
«Sicuramente positivo: se immagino dov’eravamo dieci anni fa, credo che tanto si sia fatto. Penso alla musica prodotta, alla comunità che abbiamo raccolto attorno alle nostre idee o alla partecipazione al Festival di Sanremo 2020».
Che esperienza è stata?
«Intensa e formativa, sotto tanti punti di vista. Prima di viverla, ci siamo diretti proprio a Cuneo, per passare alcuni giorni con il professor Walter Franco, mio relatore di tesi, che vive lì. Avevamo bisogno di chiacchierare un po’ con lui. Un po’ di quiete prima della tempesta sanremese (ride, nda)».

BaNNER
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