«Ma quale storico io di Mondovì sono innamorato»

Il professor Ernesto Billò racconta la sua città: «L’ho vista trasformarsi negli anni, ma non è ancora come vorrebbe essere»

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Il professor Ernesto Billò, 85 anni, propone un nuovo libro, proponendo un’ “idea” della città in cui è stato ed è protagonista. «Storico? No. Non lo sono. Sono un appassionato, un innamorato di Mondovì, ho solo il merito di avere… qualche anno in più, di aver visto la città trasformarsi, e di avere da sempre una grande curiosità. Che è la molla di tutto». Si presenta così, il professor Ernesto Billò, che è sempre stato molto di più di un semplice insegnante di lettere, mestiere che ha fatto «con passione, nel tentativo di trasmettere non solo conoscenze libresche, ma qualcosa in più», per molti anni. Attivissimo nella vita sociale, culturale, amministrativa della città, Billò è stato fondatore dell’Università degli adulti, giornalista, assessore, attore teatrale, disegnatore, vignettista, acquerellista. So­prattutto è stato ed è ancora attento osservatore (ed anche protagonista) della vita di Mondovì. Che ha narrato in scritti, pubblicazioni, libri. L’ultimo dei quali, “Un’idea di Mondovì”, è fresco di stampa. Il professor Billò se lo è (e ce l’ha) “regalato” per i suoi 85 anni, compiuti da poco. Con vivacità, brillantezza e freschezza ci ha raccontato la sua storia.

Professore, come è nata questa “Idea di Mondovì”?
«Come tante altre, l’iniziativa è partita in questi due anni di isolamento, quando abbiamo avuto più tempo per pensare e ri-pensare. Volevo fissare sguardi e ricordi del passato, prendendo il via dalle affermazioni che tutto sarebbe cambiato, che nulla sarebbe stato più come prima. E cogliendo una nuova attenzione da parte delle persone».

Cioè?
«Si è accesa una nuova voglia di sapere. Rimestando nel passato, nelle vecchie fotografie ritrovate in casa, si sono sviluppati tanti interrogativi, spesso anche sui social, dove le risposte erano incerte o magari errate. Ho cercato di mettere ordine, fornire spunti e indicazioni, attraverso una serie di flash-back sulla nostra città, ricordando ciò che era, memorie che sarebbe bello rispettare».

Che cosa è scaturito?
«Una certa “idea” di Mondovì, quella che magari abbiamo in cuore che vorremmo fosse, ma che ancora deve fare i conti con tanti problemi da risolvere. Anche se molte criticità sono state affrontate, su tanti temi si dibatte da tempo senza giungere a soluzioni. Soprattutto sui rioni storici, che hanno molteplici memorie che andrebbero valorizzate e salvate».

Da dove arriva questa sua appassionata curiosità?
«Da bambino sono stato a stretto contatto con il mondo artigiano, e con un’umanità pulsante fatta di botteghe, viavai, scambi. La mia famiglia lavorava nella bottega d’arte di Prinotti dove confluivano artisti di tutta la zona da cui ho assorbito tante cose. Sviluppando una serie di influenze, legami e collegamenti».

In quello che ha fatto, quanto hanno pesato le sue esperienze formative?
«Molto. Dalla scuola ho avuto un’esperienza molto positiva, con insegnanti inflessibili, molto caratterizzati, aperti. L’insegnamento vissuto come “vocazione” ha fatto il resto. Ma fra tutte, l’esperienza che più mi ha segnato è stata la guerra».

Perché?
«Sono del ‘37, in quegli anni avevo già l’età per comprendere ciò che accadeva. Abitavo vicino al Municipio, dove c’era la prigione dei partigiani. Vedevo partire gli ostaggi per essere fucilati… Cose che restano dentro, e marchiano a fondo».

Lei ha sempre scritto moltissimo. Come si è sviluppato questo gusto per la scrittura?
«Iniziai molto presto, con i giornalini alle medie, per poi passare alle esperienze con il Corriere e la Gazzetta di Mondovì a 14-15 anni. Poi c’è stato l’Asino rampante, che ho guidato per dieci anni da direttore ir-responsabile, perché così si doveva essere. Ho imparato cosa significasse concretamente “fare un giornale”, dalla redazione sino al mondo formidabile della tipografia. Poi, nel 1963 fondammo Il Belvedere, un mensile che è durato 31 anni, in appoggio alle amministrazioni democristiane di allora, ma in chiave molto critica e con tante aperture. Sempre con una giusta dose di ironia: una caratteristica che ho poi sviluppato nella mia “Zona franca” su L’Unione Monregalese, esperienza che prosegue tutt’oggi».

Torniamo a Mondovì. Oggi è più città, o è ancora “un insieme di rioni”?
«I rioni monregalesi da sempre rappresentano piccole isole, rivendicano caratteristiche, vivono di contrapposizioni, nel passato più agguerrite fino ad ipotesi di secessioni, ora più edulcorate. Oggi queste caratterizzazioni si sono un po’ annacquate, le persone sono cambiate, ma le divisioni restano. Se hanno frenato lo sviluppo della città? Forse. Quello che ha più inciso, sicuramente, è la grande estensione territoriale di Mondovì: poche altre città hanno una superficie così grande, con tutte le problematiche che ne derivano».

Mondovì si propone spesso come capofila di un territorio, oggi dal punto di vista turistico, ma non solo. Lo è veramente?

«Già in passato erano stati fatti dei tentativi in questo senso. Ad alcuni avevo collaborato. Negli Anni Sessanta si concretizzò un discorso di territorio, con idee nate in convegni poi tradotte in iniziative in comune portate avanti. Mondovì è diventata centrale grazie alle scuole, ai collegi che accoglievano allievi dall’Albese alla Liguria; poi le caserme, con gli alpini e i finanzieri… Un bel periodo. Non si avvertivano gelosie. Poi gli abbandoni, una ferita ancora aperta. Qualcosa non ha funzionato, molti progetti non sono decollati, nel passato alcuni imprenditori, pur volendo bene alla città, hanno scelto di delocalizzare le loro attività, e Mondovì ha sofferto. Oggi vedo più difficoltà a far coesione, ci si separa per gelosie campanilistiche, tutto il sistema ne risente».

Qual è la sua idea della Mondovì del futuro?
Molto dipenderà dalle scelte che si faranno. Le elezioni sono imminenti: mi auguro che non vi siano chiusure, eccessive contrapposizioni, bensì rispetto ed accettazione di idee. E poi, scelte con una visione lungimirante, non per contrapposizione sterile. Con rispetto per la storia della città, per i cittadini e le esigenze guardando al futuro con fiducia, generosità e apertura mentale».