Tra le 120 e le 150mila. Questo è, secondo alcuni recenti studi, il numero di persone che oggi, in Italia, possono essere considerate hikikomori. Ma chi sono? Si tratta di individui affetti da un malessere psichico – sempre più diffuso nella società moderna – che li spinge a isolarsi dalla vita sociale. Per conoscere a fondo questo fenomeno sociale abbiamo colloquiato con Marco Crepaldi, psicologo e tra i massimi esperti di questa condizione in Italia, nonché fondatore di Hikikomori Italia, la prima associazione che si occupa quotidianamente di informare sul tema, aiutando gli individui coinvolti e le loro famiglie.
Crepaldi, dovesse riassumere in poche parole chi sono gli hikikomori?
«Hikikomori è un termine giapponese, che significa letteralmente “stare in disparte”. L’hikikomori è un individuo, spesso giovane ma in casi sempre più crescenti anche adulto, che si isola più o meno volontariamente dalla società, rifugiandosi nella zona di comfort dell’ambiente domestico. Le cause di questa scelta sono molteplici e di difficile diagnosi».
Molti riconducono questo fenomeno all’abuso di tecnologia. È corretto?
«Direi di no. I motivi di questo atteggiamento sono in primis riconducibili all’aspetto caratteriale del singolo individuo, spesso timido, ma si mescolano ad aspetti famigliari e scolastici – nel caso dei più giovani -, oltre che sociali. La tecnologia, semmai, è un elemento acceleratore».
In che senso?
«Nel senso che gli strumenti tecnologici non hanno fatto altro che contribuire ad ingigantire alcune delle principali pressioni che sono all’origine dell’hikikomori. La società degli ultimi decenni, anche prima dell’avvento di Internet, si è fatta sempre più esigente e competitiva. Chi non si riconosce in essa o si sente “sconfitto” finisce per isolarsi. Le piattaforme online e, su tutte, i social network, hanno alimentato questa tendenza, essendo spesso delle vetrine in cui ci si confronta e si è spesso soggetti a giudizio e isolamento».
Perché ad esserne colpiti sono soprattutto i giovani?
«Almeno per due ragioni. In primo luogo, perché la scuola rappresenta il contesto perfetto in cui confronto e giudizio prendono il sopravvento. La competizione tra adolescenti è molto alta e chi non è in grado di reggerla finisce per isolarsi. In seconda battuta, perché, in determinate società, il giovane è coccolato e mantenuto nella sfera famigliare e, quindi, può “permettersi” un isolamento totale, senza rischi per la propria sopravvivenza».
Quanto si è consapevoli di questo fenomeno in Italia?
«Lo si sta scoprendo sempre di più. I numeri dimostrano che i casi sono aumentati a dismisura negli ultimi anni. Ovviamente, un peso non indifferente lo ha avuto il coronavirus. Nel biennio 2020-2021, per via delle normative sanitarie, l’isolamento casalingo è stato “legittimato”, spingendo chi già propendeva a rifugiarsi all’interno delle mura di casa a farlo in modo duraturo. Ecco perché, spesso, non ci si è resi conto che stavano nascendo dei nuovi casi».
Dov’è maggiormente diffuso?
«La sua origine è giapponese, perché là i casi sono tanti da tempo e hanno ormai superato il milione. Nel nostro Paese, invece, sono abbastanza distribuiti in tutte le regioni, anche se sicuramente sono di più al Nord. È difficile individuare una sola causa di questa concentrazione, ma credo che il motivo si possa ricondurre a quanto detto prima, ovvero: le regioni del Nord sono mediamente più ricche e l’individuo hikikomori ha genericamente una situazione economica famigliare alle spalle che gli permette di isolarsi e, sostanzialmente, di essere mantenuto».
In questo senso, l’associazione Hikikomori Italia come può essere d’aiuto?
«Il nostro principale obiettivo è quello di informare e sensibilizzare su un tema che, come abbiamo detto, è sempre più pervasivo nella nostra società. In seconda battuta, attraverso i nostri canali online e le molte occasioni in presenza, cerchiamo di fornire uno spazio di incontro e confronto tra le persone colpite e le famiglie coinvolte».
In provincia di Cuneo, invece, avete contatti?
«La nostra rete è diffusa ovunque e i casi non mancano neppure qui. A margine del mio intervento al TEDxCuneo, ad esempio, ammetto che molte persone, soprattutto genitori, mi hanno parlato e mi hanno scritto per chiedermi indicazioni e consigli».