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«Giornali e politica in agenda tornino i problemi veri»

Emiliano Fittipaldi: «Bisogna riacquistare la fiducia della gente»

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Uno dei (tanti) effetti collaterali causati da due anni di emergenza sanitaria e poi dallo scoppio del conflitto in Ucraina è il disorientamento generale. Ricondurre, però, lo stato di incertezza che viviamo in questi mesi esclusivamente a ciò sarebbe riduttivo e semplicistico. La situazione at­tuale è figlia, infatti, di un processo complesso in atto da tempo che riguarda da vicino anche il mondo della politica e quello dell’informazione, con l’affermazione e lo sviluppo, tra le altre cose, dei nuovi media che ha ulteriormente esasperato alcuni fe­no­meni economico-sociali emergenti. Cosa resta al pubblico? Qual è il messaggio che viene veicolato a lettori, telespettatori e naviganti del web? Abbiamo provato a capirlo intervistando, nell’ambito del Festival della Tv di Dogliani, uno dei giornalisti che da sempre, con le sue inchieste, cerca di andare oltre al flusso “mainstream”, il vicedirettore di Domani, Emiliano Fittipaldi.

Oggi che Italia viene raccontata dai media?
«Il rischio che corriamo noi giornalisti è di raccontare un Paese con un’agenda dettata dalla politica».

Ovvero?
«Si rischia di raccontare un Paese in cui l’opinione pubblica ha un ruolo molto marginale, in cui i problemi e le questioni reali della nazione vengono considerati dai me­dia quasi come una questione secondaria. In sostanza, vengono raccontate so­prattutto le dinamiche della po­litica “politicante” e questo, secondo me, è uno dei motivi principali per cui si è creato un distacco gigantesco tra il Paese e la politica e pure tra il Paese e il giornalismo».

Non si fa più giornalismo d’in­chiesta, insomma.
«Esatto. Va però detto che giornalismo d’inchiesta non vuol dire necessariamente rac­contare scandali politici, economici e dei potenti. Fare inchiesta significa raccontare il Paese, quello vero».

Cosa c’è nell’Italia “vera”?
«I problemi occupazionali, il mondo dei giovani, i disservizi della sanità. Insomma, servono inchieste sociali e i giornali di oggi non le fanno più».

I motivi?
«Per fare inchieste sociali occorrono tempo e risorse umane, aspetti che gli editori spesso non prendono in considerazione. Non viene quasi mai concesso il tempo necessario».

La gente troverebbe il tempo per leggere le inchieste?
«In alcuni casi potrebbe esserci certamente pigrizia da par­te dei lettori nell’interessarsi a testi lunghi e complessi. Ma del resto i social ci hanno “abituati” a stancarci dopo cinque righe di testo… Quin­di, quello delle capacità e delle volontà culturali del pubblico può sicuramente essere un problema, ma in ogni caso la svolta, prima di tutto, deve arrivare proprio dai giornalisti».

Da dove si parte?
«Noi giornalisti dobbiamo recuperare la credibilità che abbiamo perso. Dobbiamo tornare a raccontare il nostro Paese per davvero. Se ricominceremo a farlo “alla vecchia maniera”, ci sono possibilità di riguadagnare la fiducia dell’opinione pubblica. Ma non sa­rà facile perché, non nascondiamocelo, il settore dell’editoria è in crisi e, quindi, potrebbe non esserci la pazienza necessaria per consentire l’attuazione di tale processo».

La verità emerge ancora?
«La verità – specie quella con la “v” maiuscola – va maneggiata con parecchia cura, anche perché nessuno ne è il depositario. Quando si cerca di raccontarla – ma anche quando la si cerca di conoscere, da fruitori delle notizie – bisogna tenere conto del fatto che ormai viviamo in un mondo liquido e polarizzato, caratterizzato da opposizioni e contrasti. Un mondo in cui i vari soggetti politici ci rappresentano il mondo se­condo la loro prospettiva e, quindi, a volte, raccontano una verità che non esiste».

L’Italia crede a queste verità?
«No, non ci crede più. Alle prossime elezioni rischiamo di avere un’astensione del 40 per cento, cosa che sarebbe spaventosa. Ma non è colpa degli italiani: non è vero che si sono disaffezionati della cosa pubblica. L’interesse c’è sempre. Il problema è che la cosa pubblica non si interessa più delle vere necessità, né le capisce né le studia».

Come si è originato questo mondo “liquido”?
«Non ci sono più le guide. Magari, a volte, ci sono dei lea­der, ma sono perlopiù de­boli e spesso durano lo spazio di un mattino. In Italia, or­mai, le leadership politiche hanno durate sempre più brevi. Anche in questo caso, comunque, è una questione di “tempo”. All’epoca della Dc, del Partito Socialista e del Partito Comunista, i leader avevano a disposizione il tempo necessario per creare consenso e anche poi quello per governare a lungo».

Che scenari immagina?
«La liquidità del potere riflette quella dell’orientamento dell’opinione pubblica. E poi ci sono pure la liquidità tecnologica e la liquidità del sistema sociale. In tutto questo, la gente si sta abituando. Si sta abituando anche a un contesto politico che può cambiare ogni due secondi. Personalmente, sono “tempi” che mi angosciano, ma forse è perché io da piccolo, essendo nato nel 1974, avevo certezze granitiche. Parentesi personali a parte, la realtà, come dicevo, è questa e dobbiamo farci i conti. Sarà interessante capire se nei prossimi anni la politica riuscirà a garantire una solidità maggiore e a governare i processi, senza più subirli, a partire da quelli della globalizzazione».

Continuerà a fare inchieste?

«Non potrei fare altro. Per me il giornalismo d’inchiesta, ol­tre che un lavoro dal grande senso civico e morale, è una ne­cessità, mi viene naturale e mi diverte, pur essendo sempre più complicato».

Ai giovani giornalisti consiglia questo mestiere?
«È un’attività faticosa ma decisamente meno effimera rispetto a quella degli opinionisti di social e tv. E poi cercare di cambiare le cose è estremamente gratificante. Inda­gando, facendo inchieste e cercando di fare emergere le informazioni giuste, si contribuisce a rendere i nostri concittadini più informati e più preparati a comprendere la realtà».

Chiudiamo con una domanda… di territorio. Che emozioni le suscitano le Langhe?
«Le Langhe sono uno dei luoghi del mio cuore. Questo è uno dei territori più belli d’Italia e qui la mia anima si sente in equilibrio. Insomma, quando capito tra queste colline, mi ricarico in vista delle prossime inchieste…».


CHI È
Nato a Napoli nel 1974, Emiliano Fittipaldi è un giornalista e saggista, vicedirettore di Domani, già firma dell’Espresso. Dopo la laurea in Lettere e il master alla Luiss, ha lavorato come stagista per il Corriere della Sera, dove ha iniziato a occuparsi di inchieste socio-economiche. In seguito è approdato al Mattino

COSA HA FATTO
Passato all’Espresso, ha realizzato rilevanti inchieste, a partire da quelle sui rapporti tra politica e crimine organizzato. I suoi reportage hanno toccato, tra gli altri, Berlusconi, Virginia Raggi, Matteo Renzi, Giuseppe Conte e Matteo Salvini

COSA FA
Ha pubblicato “Avarizia”, il libro-inchiesta sugli scandali economici del Vaticano, “Lussuria”, che denuncia il fenomeno degli abusi sessuali nella Chiesa, “Gli impostori-Inchiesta sul potere”, con documenti controversi sul caso di Emanuela Orlandi. Vicedirettore di Domani, è stato ospite al Festival della Tv di Dogliani

BaNNER
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