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«Per capire la storia bisogna occuparsi delle sue ferite»

Paolo Mieli: «La guerra in Ucraina nasce cento anni prima»

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La lectio magistralis di Paolo Mieli alla Fe­sta del libro medievale e antico – evento curato dal Salone del Libro e promosso da Fonda­zione Crs e Comune di Sa­luzzo – è stata rinviata a martedì 2 novembre causa covid. L’argomento: le “Ferite ancora aperte” della storia, come da recente saggio pubblicato da Rizzoli. Quel tema, l’ex direttore del Cor­riere della Sera lo ha sviluppato in anticipo per IDEA. «Vi faccio subito un esempio – spiega l’ideatore di “Passato e Presente” su Rai Cultura -: nell’uccisione di Giulio Cesare, abbiamo sempre giudicato Bruto alternativamente come un eroe che avrebbe salvato Roma dalla dittatura, oppure come un cospiratore che ha creato le condizioni perché poi Roma precipitasse nelle guerre civili prima della stagione dell’impero iniziata con Augusto. Se analizziamo i 2mila anni successivi, troviamo che questa ferita si è riproposta decine di altre volte. Non si capisce se l’incertezza del giudizio su Bruto sia originata dalle motivazioni benefiche di situazioni che ritenevamo positive o se delle stesse motivazioni negative. È complicato, ma si deve monitorare la ferita, rivisitarla, vedere cose che non avevamo analizzato o valutato e non solo per la passione di chiarire qualcosa del passato che ci riguarda, ma anche per fare chiarezza dentro di noi, per il nostro bene. Si tratta di convivere con un corpo martoriato e ferito, a patto che lo conosciamo bene: curare significa conoscere».

Possiamo dire che questo ap­proccio verso la storia ci libera dalla tentazione di analizzare il presente confrontandolo con il passato?
«Se c’è un modo di non curare le ferite e farsi del male è proprio quello di usare la storia per giustificare le scelte del presente. Del resto, quasi tutti lo fan­no, stabiliscono che loro rappresentano il bene e chi è contro incarna il male, proiettano il concetto all’indietro trovando che tutto ciò che la storia trasmette come positivo è antefatto di ciò che rappresentano, mentre il negativo lo è di chi combattono. Così ricostruiscono una storia fasulla che oscilla tra l’essere inutile o dannosa. Io protendo per la tesi che sia dannosa, innanzitutto perché evidenzia contraddizioni e poi perché serve a creare antefatti. Capisco che così i vincitori, dopo una guerra o una contesa politica, possano dire: adesso spiego che la mia vittoria non è stata occasionale ma favorita dalla tradizione o da Dio. Però questo accentua le ferite e le ripropone per decine di anni, a volte secoli».

A proposito: nel libro lei racconta di come Putin abbia usato la storia per giustificare l’aggressione all’Ucraina.
«Sicuramente uno dei suoi torti è stato, quando si è riaffacciata la ferita emersa nel 2014 con l’occupazione della Crimea, di collegare quella storia ai trent’anni successivi al Comuni­smo. Io invece ho provato a guardare ai cento anni precedenti».

Che cosa ha trovato?
«Un po’ come per Giulio Ce­sare di cui dicevamo prima: bende infette che hanno peggiorato la ferita e che hanno dato origine all’aggressione russa, ma non vogliamo vederle. C’è un odio tra russi e ucraini che non è spiegabile con gli ultimi venti anni, così come l’eroismo degli ucraini. Il 24 febbraio tutti scommettevano che in pochi giorni si sarebbero arresi. Ma da dove è venuta fuori tutta questa grinta? Dalle ferite subite in quel secolo di cui cerco di rendere conto. È la tesi che percorre tutto il libro, per cui ogni vicenda storica debba essere affrontata con l’atteggiamento di un medico che – anche se il paziente afferma di stare bene – lui lo ferma, studia le sue ferite. È il metodo medico applicato alla storia».

Vale anche per la storia italiana?
«Pensiamo al fascismo e all’antifascismo, sembra una questione ancora irrisolta dopo 70 anni e si ripropone anche in questi giorni con il centenario della marcia su Roma e dopo l’elezione di Giorgia Meloni. Siamo ancora lì. Non ho alcun dubbio sui meriti della causa antifascista, io, ma come è possibile che si torni ancora su quegli argomenti come se la guerra fosse appena finita? È qualcosa che ci condanna, è un’evidente ferita mai sanata».

 

Seguendo il suo ragionamento, siamo già in grado di sapere che il conflitto in Ucraina aprirà in ogni caso nuove ferite?
«È così ed è la conclusione “segreta” del libro. Qualsiasi questione con cui tu abbia a confrontarti nella tua vita, se si presenta come risolta, non farti illudere. Nulla si chiude in maniera definitiva ed è meglio sorvegliare i motivi per cui quella ferita è venuta fuori. Se in Medioriente, come mi auguro, un giorno annunciassero la pace, il mio atteggiamento sarà di continuare a monitorare ogni dettaglio, senza illudermi che quel percorso storico sia concluso. Altrimenti non si spiegherebbe come mai da noi dopo un secolo autoritario tra fascismi e comunismi, siano poi scoppiate guerre perfino più feroci».

Perché è accaduto?
«Le categorie usate per la fine dei fascismi e dei comunismi erano illusorie ed è stato un errore prendere la questione sottogamba. Il risultato è che se ne sono sviluppate altre e quelle vecchie si sono ripresentate sotto nuove spoglie».

A Saluzzo si par­la di Medioevo: una stagione con tante ferite?
«Il Medioevo merita un discorso particolare. È considerato un’immensa ferita, ma è un pregiudizio da abbattere: sono stati mille anni di luce. Il Medioevo è il vero periodo in cui l’umanità ha fatto un salto gigantesco. La novità delle ferite medievali è che sono fondative, quasi, di quelle precedenti e del periodo successivo. Per esempio, tutto ciò che riguarda la dimensione del rapporto tra etica, politica e religione, tutto questo mix modernissimo è stato prodotto in età medievale. Un’età lunghissima, mille anni, ma sui nostri libri di storia esaminiamo un millennio come un’età di mezzo e poi un altro, quello dell’impero di Bisanzio come fosse un dettaglio nella storia dell’umanità (in un paragrafo). E potrei fare altri esempi se parlassi della storia asiatica. Ci sono periodi che ancora non capiamo, nonostante la globalizzazione, ci ostiniamo a considerare epoche come inizio e fine tra stupende civiltà cui dedichiamo attenzione. Il Ri­nascimento è nato da secoli di buio? Per quello che riguarda il Medioevo, fondamentale è gua­rirlo immediatamente dal­l’interpretazione molto sbagliata di un’immensa ferita, di un’età di peste, superstizioni e persecuzioni, descritta anche in letteratura come la preistoria: un’assurdità. Come l’epoca bizantina: non sappiamo che cosa abbia tenuto insieme quella realtà dal 300 al 1450, eppure è l’epicentro di tutta una serie di microferite: la crisi petrolifera, quella della Russia, la terza Roma e il rapporto con Bisanzio, la Turchia. Possibile che una storia così importante al massimo l’abbiamo sfiorata in un paragrafo?».

CHI È
Giornalista, saggista, opinionista e conduttore televisivo (nella foto con Ferruccio De Bortoli). È nato a Milano il 25 febbraio 1949, cresciuto a Roma. Specializzato in politica e storia, il suo stile giornalistico, il “mielismo” è diventato un termine registrato dalla Treccani

COSA HA FATTO

È stato direttore del quotidiano torinese La Stampa cambiandone significativamente lo stile con grande successo. Per due volte (dal 1992 al 1997 e dal 2004 al 2009) ha diretto il Corriere della Sera. È stato anche presidente di Rcs Libri. In tv ha condotto il programma storico “Correva l’anno”

COSA FA
Mercoledì 2 novembre è atteso al Cinema Teatro Magda Olivero di Saluzzo per una “lectio magistralis” sul tema identificato dal titolo del suo ultimo saggio: “Ferite ancora aperte”. L’evento avrebbe dovuto inaugurare la Festa del libro medievale e antico, ma il covid ha impedito a Mieli di essere presente già venerdì scorso. Il libro, edito da Rizzoli, è stato pubblicato un mese fa

BaNNER
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