IL FATTO
Nel settore dell’intelligenza artificiale il nostro paese è all’avanguardia e Torino avrà presto un centro nazionale di ricerca. Ma ci stiamo davvero muovendo nella direzione giusta?
C’è una materia che promette sviluppi decisamente interessanti, sotto diversi punti di vista: l’intelligenza artificiale. Per esempio per quanto riguarda l’occupazione. E si tratta di un argomento particolarmente sentito in Piemonte, a Torino, perché è qui che sorgerà un centro nazionale dedicato proprio all’intelligenza artificiale, con un focus speciale per automotive e autospazio, settori legati alle tradizioni imprenditoriali della città. In ogni caso, quello dell’intelligenza artificiale è un punto strategico non solo a livello locale ma per l’Italia in generale. Le premesse sono incoraggianti per il nostro Paese e – come sempre – c’è solo da fare attenzione a non disperdere le opportunità.
Lo ha detto anche Barbara Caputo, professoressa ordinaria al Politecnico di Torino, ricercatrice e cofondatrice di Ellis (European Laboratory for Learning and Intelligent Systems) parlando – a Repubblica – dei ragazzi che si avvicinano a questo percorso universitario: «Gli studenti italiani hanno un vantaggio rispetto agli altri: sono abituati alla sintesi, a vedere le cose in prospettiva, non pensano in termini di domanda e risposte multiple. E sanno arrangiarsi, non si fermano al primo ostacolo». Ogni tanto qualche annotazione che regala ottimismo. Anche perché il settore in questione è in pieno sviluppo: «C’è molta più richiesta che offerta». E allora si pensa già a un rischio, quello che vede vanificare, nella peggiore delle ipotesi, questo grande sforzo di formazione, perché poi i ricercatori troveranno occupazione all’estero. In questo caso l’ottimismo lascia spazio a un’amara considerazione: «Ogni investimento a livello di formazione in AI è un regalo che stiamo facendo ai nostri competitori, perché noi formiamo le persone e poi loro vanno a produrre da altri, e non va bene».
Servirebbe tanto l’intervento delle istituzioni. «Ho due speranze -aggiunge la ricercatrice -: intanto che si proceda secondo le direttive espresse nel Piano nazionale per l’intelligenza artificiale, senza deviazioni o nuovi inizi; un percorso c’è, seguiamolo. E poi che si ponga tutto il settore sotto il diretto controllo della Presidenza del Consiglio, per dargli l’importanza che merita». Anche perché «L’intelligenza artificiale ha una valenza strategica per il Paese. Siamo sommersi dai dati, ne produciamo ogni giorno di più: nella migliore delle ipotesi diventeranno spazzatura digitale, nella peggiore a maneggiarli non saremo noi, ma ci penserà qualcun altro». Speriamo di no.
Ma in cosa primeggia la ricerca italiana sull’intelligenza artificiale? «In quella che chiamiamo intelligenza artificiale simbolica, nella visione computerizzata, dove l’Italia ha visibilità e autorevolezza a livello mondiale, e anche il machine learning è in grande crescita. Senza dire che la comunità italiana di robotica è storicamente tra le più forti del mondo. Da noi ci sono molti picchi di eccellenza, quello che manca è la massa critica, facciamo fatica a fare il passo successivo».