Sabato sarà ospite del Laboratorio di Resistenza permanente della Fondazione E. di Mirafiore per parlare della situazione globale partendo dal suo libro “Il posto della guerra”. E intanto su IDEA, Vittorio Emanuele Parsi ne anticipa alcuni passaggi.
Professore, perché questa guerra?
«Putin voleva garantire la sovranità davanti alle altre potenze mondiali, nel rispetto dei confini violati già nel ’14, e ha deciso di cambiare lo status quo ricorrendo alla guerra con menzogne e modalità punitive. Questo calcolo errato di un autocrate convinto di riportare la lancetta ai tempi delle spartizioni polacche pre-rivoluzionarie, ci ha sorpreso. Si colloca in una lettura sbagliata delle divisioni transatlantiche, della debolezza americana dopo l’Afghanistan, dell’insipienza militare europea e anche per una sottovalutazione clamorosa della volontà degli ucraini di difendere con le armi la propria libertà».
Saranno gli Usa, in qualche modo, a portare una soluzione definitiva al conflitto?
«La soluzione passa per il ritiro delle truppe russe e il risarcimento del danno agli ucraini che stanno subendo perdite devastanti, perché non c’è una guerra tra Russia e Ucraina, c’è un’invasione dell’Ucraina da parte della Russia in cui tutti gli attacchi ai civili, la deliberata volontà di distruggere infrastrutture sono applicati in modalità “stato canaglia”, parliamoci chiaro. Gli americani sostengono militarmente gran parte dello sforzo per consentire agli ucraini di difendersi e il fatto che dopo otto mesi i russi siano impantanati nel terreno orientale del paese e, anzi, stiano arretrando, ci dice che questa volontà assistita da una quantità alla fine modesta di aiuti militari occidentali, li sta tenendo in scacco. Se l’America dovesse rallentare il sostegno, per l’Europa sarebbe più complicato tenere una posizione unita contro l’aggressore».
La Cina continuerà a restare dietro le quinte?
«Politicamente ha spalleggiato la Russia con posizioni apparentemente equidistanti e già questo appare inaccettabile, ma in realtà ha sostenuto lo sforzo militare russo, in parte anche con triangolazioni attraverso la Corea del Nord e altri paesi. In questo momento ha un dilemma strategico, cioè da un lato non vuole mollare il proprio alleato, dall’altro vuole ereditare la leadership del sistema, non vuole la distruzione del sistema. E su questo è molto indecisa sul da farsi. Poi i cinesi devono risolvere un problema complessivo, decidere se voler diventare primi al mondo – e in questo caso Usa ed Europa non acconsentirebbero – oppure se essere non secondi a nessuno e allora per questo le porte sono aperte. Cioè: a una supremazia cinese non si può acconsentire; a un’estensione delle responsabilità di vertice del sistema ad altri paesi, volentieri».
Qual è quindi la prospettiva che ci attende?
«Sia chiaro a chi ci legge che c’è una relazione stretta tra la tenuta dei sistemi democratici al loro interno e la tenuta del sistema internazionale che si ispira agli stessi sistemi democratici. L’ordine internazionale in cui viviamo si rifà ai principi e all’ordine di funzionamento delle democrazie; se questo venisse meno, anche le nostre democrazie sarebbero a rischio. Perché se i leader del sistema fossero i regimi autoritari, confezionerebbero un ordine internazionale simile alle loro procedure e non certo alle nostre. Ecco perché è così importante questa guerra, oggi».
Le democrazie occidentali, però, sono in difficoltà.
«La democrazia affatica, non c’è dubbio, nessuno può pensare che il suo funzionamento sia un pasto gratis. Nel contempo le democrazie in questi anni hanno avuto problemi interni legati principalmente all’aumento delle diseguaglianze e alla tendenza all’oligarchizzazione dei propri sistemi politici che ha accompagnato la tendenza oligopolistica dei mercati. Allora, è chiaro che non basta rintuzzare l’aggressione esterna, occorre anche ristabilire l’equilibrio interno alle democrazie. Occorre rimettere in sintonia il mercato, che è l’istituzione economica principale del sistema occidentale, e la democrazia politica rappresentativa. L’occidente in cui siamo calati dal 1945 in poi, si è trasformato: particolarmente l’Europa. Oggi è un insieme di paesi che non si combattono, non si pensano minacciosi gli uni degli altri perché condividono le istituzioni politiche democratiche, le istituzioni economiche di mercato e l’idea di una società aperta. Queste tre cose hanno trasformato l’Europa dopo la sconfitta del ’45 complessivamente subita. Il Novecento non è stato il secolo del declino europeo, ma della trasformazione e della rinascita europea».
E la minaccia nucleare?
«Dobbiamo ragionare di più con la testa e meno con la pancia. È una minaccia credibile in quanto minaccia, molto meno come realtà di attuazione della minaccia stessa. L’utilizzo da parte dei russi dell’arma atomica in assenza di qualsiasi pericolo esistenziale, si porterebbe dietro l’espulsione dal sistema internazionale e profonde ritorsioni economiche e militari».
Lei ha parlato anche della dipendenza dal gas.
«Guai a pensare che l’emergenza bellica permetta di rallentare la trasformazione energetica. Questa è l’occasione per accelerare e anche laddove pensiamo di utilizzare il gas preso altrove per sostituire quello russo, l’importante è che non ci imbarchiamo nella realizzazione di costosi gasdotti che aumenterebbero il costo di uscita del gas. Meglio noleggiare i rigassificatori, navi che finito il compito possono essere dismesse».
Altro problema d’attualità: i flussi migratori.
«Abbiamo una serie di sfide nuove che si accumulano con quelle classiche (dalle guerre agli autoritarismi agli innalzamenti dei mari, riscaldamento globale e flussi migratori spesso tra loro collegati). Dobbiamo lavorare alla radice dei problemi. Con un atteggiamento di umanità verso le persone costrette a spostarsi per vivere».
Lei è nato ed è vissuto fino ai dieci anni a Torino.
«Sì e conosco tutta la bellissima zona a sud ovest del Piemonte. Il sistema Langhe? Ha saputo valorizzare il territorio trasformando le risorse sia in termini di eccellenze agricole, sia nel comparto agro-alimentare. E hanno anche saputo valorizzare un turismo che è meno impattante sul territorio. Dove tra il ’500 e ’700 si sono combattute battaglie importanti. Ecco la provincia Granda. la definirei “lenta” ma nel senso di un ritmo più umano, di senso della vita da preservare».
CHI È
Politologo ed editorialista del Messaggero, è professore ordinario di Relazioni Internazionali alla facoltà di Scienze Politiche e Sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, a Milano. È anche direttore di Aseri (Alta scuola di economia e relazioni internazionali)
COSA HA FATTO
È ufficiale della riserva selezionata della Marina Militare con il grado di Capitano di Fregata. Ha partecipato all’operazione Mare Sicuro con la Fregata Bergamini (tra il 2016 e il 2021): ha inoltre un passato da sportivo come giocatore di rugby (terza linea) a Monza
COSA FA
Ha appena scritto “Il posto della guerra e il costo della libertà”, saggio pubblicato da Bompiani. Partendo da qui, sabato 19 alle 18.30, l’autore sarà ospite di Fondazione Mirafiore al Villaggio Narrante di Fontanafredda dove terrà una lezione indagando sulle motivazioni alla base dello scempio della guerra attuale nello
scenario della “civile” Europa