Dall’Unione Europea serve una riforma del Patto di stabilità in senso federale

«L’idea della Commissione è quella di un accordo su misura di ciascuno Stato membro: l’approccio sarebbe analogo a quello introdotto con il regolamento sulla Recovery and Resilience Facility»

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Questa settimana la Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen ha lanciato il processo di revisione della governance economica per archiviare definitivamente le regole più rigorose del Patto di stabilità e crescita e concedere agli Stati membri maggiore flessibilità per gli investimenti orientati alla transizione digitale ed ecologica. Tuttavia, l’iter che dovrebbe portare a questa revisione si annuncia delicato e non senza ostacoli.
La pandemia di Covid-19 e il conflitto russo-ucraino (con la conseguente crisi energetica che ne è scaturita) hanno avuto un enorme impatto sulle economie e i conti pubblici dei ventisette, Italia inclusa: basti riflettere sul fatto che il debito pubblico del nostro Paese non scende al di sotto del 150%, contro una media europea del 94%.

Tutti gli Stati membri concordano sul fatto che le norme vadano aggiornate e semplificate per rispondere con maggiore efficacia alle sfide economiche dei nostri tempi; inoltre, sembra finalmente esserci un accordo per abbandonare la regola (mai applicata) che obbliga i ventisette a ridurre il debito di un ventesimo l’anno per la quota eccedente il 60% del PIL.
L’idea della Commissione è quella di un Patto di stabilità su misura di ciascuno Stato membro: l’approccio sarebbe analogo a quello introdotto con il regolamento sulla Recovery and Resilience Facility (il principale strumento di NextGenerationEu): un contratto tra la Commissione e lo Stato membro su un percorso di rientro del debito e del deficit della durata di quattro anni, con la possibilità di estenderlo a sette. L’altra analogia con la Recovery and Resilience Facility è il principio della “ownership” (titolarità) del paese firmatario: toccherà a ogni singolo governo proporre alla Commissione gli sforzi di bilancio da realizzare ogni anno.

Ma il percorso si avvia in salita perché alcuni Stati membri, Germania e Paesi Bassi in testa, si sono detti contrari ad un Patto di stabilità negoziato mediante accordi bilaterali che, a loro dire, non garantirebbe le necessarie garanzie di pagamento.
Personalmente, credo che ripetere l’esperimento teorico di NextGenerationEU possa rivelarsi benefico per l’Unione europea e per il nostro Paese: significherebbe, infatti, prendere coscienza una volta per tutte del concetto di “Europa a più velocità”, una nozione peraltro alla base del progetto federale europeo. Ciascuna economia dei ventisette ha un percorso storico che ne determina oggi, nel bene e nel male, caratteristiche e peculiarità che la distinguono da quella di un altro Stato membro. Prendere atto che non tutte le economie procedono alla stessa velocità richiede uno sforzo di buonsenso e pragmatismo di cui oggi, in Europa, abbiamo estremo bisogno.

In conclusione, ci tengo però a sottolineare un punto: negoziare accordi bilaterali tra uno Stato membro e la Commissione europea non deve in alcun modo trasformarsi in un alibi per legittimare ulteriore debito pubblico o una gestione meno attenta del denaro dei contribuenti europei. Come qualsiasi buon pater familias, nessuno dovrebbe spendere maggiori risorse di quelle che ha a disposizione. Su questo punto almeno il nostro Paese ha ancora tanta strada da fare.