Si è conclusa con la vittoria del favorito Marco Mengoni la 73esima edizione del Festival di Sanremo. Già primo classificato nel 2013, con “L’essenziale”, il cantante 34enne ha centrato il bis con il brano “Due vite”. Il pezzo – firmato con Davide Petrella – parla appunto di “due vite” che si incrociano in un amore che resiste, nutrendosi delle piccole cose e confluendo nel desiderio di isolarsi dal resto dell’universo. Quello di Mengoni è stato un autentico dominio. In testa sin dall’inizio, l’artista viterbese si è aggiudicato anche la serata delle cover – riuscitissima la rielaborazione di “Let it be” con il coro gospel dei The Kingdom Choir – e il premio dell’orchestra per il miglior arrangiamento. A completare il podio, Lazza (“Cenere”) e Mr. Rain (“Supereroi”), rivelazioni con due brani che stanno spopolando nelle varie piattaforme musicali. Giù dal podio, ma ammessi alla finale a cinque, con sensazioni contrastanti rispetto alle previsioni della vigilia, Ultimo (“Alba”) e Tananai (“Tango”).
Oltre all’appassionante competizione, che ha evidenziato altri nomi ed esibizioni degni di nota, il Festival ha regalato tanti momenti esaltanti, soprattutto con gli ospiti musicali. Tra le diapositive più riuscite rientrano la reunion dei Pooh, la prima storica esibizione in trio di Albano, Ranieri e Morandi e i sentitissimi omaggi di quest’ultimo a due giganti della musica italiana: Lucio Battisti e Lucio Dalla. Altrettanto emozionanti le esibizioni di Peppino Di Capri – premio alla carriera per lui -, Gino Paoli e Ornella Vanoni. L’Ariston ha poi vibrato per i Maneskin, sempre a loro agio sul palco che li ha lanciati, e per i grandi gruppi internazionali coinvolti, i Black Eyed Peas e i Depeche Mode.
Non sono mancate, come da tradizione, le polemiche. Gli stessi artisti hanno offerto momenti fuori dagli schemi. Tra questi, la reazione spropositata di Blanco – che, dopo aver cantato “Brividi” con Mahmood, ha distrutto fiori e scenografia per problemi di audio durante la presentazione del suo nuovo singolo -, il freestyle di Fedez e il provocante bacio scambiato da quest’ultimo con Rosa Chemical.
Amadeus si è confermato Re Mida. Oltre ad aver riportato al centro la competizione canora, con la sua direzione Sanremo ha riconquistato una centralità assoluta. Lo testimonia lo share medio superiore al 60%. Numeri che non si registravano da tempo e che certificano il successo di un’edizione da applausi.
AMADEUS-MORANDI, la coppia della porta accanto
Alla vigilia si era insinuato nella critica – in maniera neanche tanto velata – il dubbio che la sensazione di routine potesse farla da padrona nel quarto anno consecutivo di Amadeus nel ruolo di conduttore e direttore artistico del Festival di Sanremo. È proprio puntando sull’abitudine, invece, che Amadeus è riuscito a fare centro, rivelandosi ancora una volta perfetto padrone di casa, con umanità e persino autocontrollo nelle situazioni più complicate. Fondamentale si è rivelato in questo il sostegno del nuovo compagno di viaggio, Gianni Morandi, chiamato al difficile compito di sostituire Fiorello, assente-presente con i suoi collegamenti da Roma. Nonostante le ripetitive gag sull’uso dei social, complice un’idea di spettacolo condivisa, l’intesa tra i due ha funzionato, dando vita a una coppia inedita ma vincente per il Sanremo dei record.
COLAPESCE e DIMARTINO fanno “splash”. ELODIE regina POP
Finalisti a parte, il cui successo è stato ampiamente riconosciuto dalla classifica, sono stati tanti i lati positivi (artistici) di questo Festival. Tanti gli artisti che si sono consacrati con pezzi ed esibizioni di alto livello. Su tutti il duo Colapesce Dimartino (“Splash”, 10° posto), protagonista con un pezzo ironico e spensierato contro «il peso delle aspettative», vincitore del Premio della Critica e di quello della Sala Stampa. Pollice in su anche per il rivolese Rosa Chemical (“Made in Italy”, 8° posto) – provocante e incisivo con il coinvolgimento delle coriste – e Madame (“Il bene nel male”, 7° posto), con un brano coscienzioso e riuscitissimo nell’arrangiamento. Applausi, tra gli altri, per i Coma_Cose (“L’addio”, 13° posto) – premiati per il miglior testo, un inno drammatico e autentico sulle crisi d’amore – ed Elodie (“Due”, 9° posto), ormai totale padrona del palco e sempre più icona pop del panorama musicale italiano.
Monologhi in scena: tra social, razzismo e maternità
Ad affiancare la coppia Amadeus-Morandi si sono alternate nel ruolo di co-conduttrici quattro donne: Chiara Ferragni, Francesca Fagnani, Paola Egonu e Chiara Francini. Oltre che per i loro abiti – particolarmente azzeccate le scelte della Francini; dense di significati quelle della Ferragni -, le quattro protagoniste hanno suscitato interesse per i monologhi che hanno deciso di presentare all’Ariston. Al debutto assoluto in tv, la Ferragni ha diviso la critica con la scelta di scrivere una lettera alla Chiara bambina sulla possibilità per le donne di inseguire i propri sogni. Il tono emozionato e fiabesco dell’imprenditrice digitale si è fatto tagliente e deciso nel discorso della Fagnani. La giornalista ha optato per una difesa nuda ed energica dei diritti dei detenuti nelle carceri minorili. Più intime e personali le parole della pallavolista Paola Egonu e dell’attrice Chiara Francini. La prima ha portato sul palco la sua esperienza di vita, schierandosi contro il razzismo e sottolineando l’eccezionale valore della diversità. Con grande coraggio e padronanza scenica, invece, la seconda si è soffermata sulle aspettative sociali legate alla maternità, strappando grandi consensi per il tema e per il modo in cui l’ha affrontato.
LDA E GASSMANN NON OSANO. E nemmeno ARIETE SFONDA
Non solo rose e fiori all’Ariston. Nel bouquet dei 28 cantanti in gara figura anche qualche delusione. Possono rientrare in questa definizione due giovani artisti, entrambi figli d’arte, Lda (“Se poi domani”, 15° posto) e Leo Gassmann (“Terzo cuore”, 18° posto): hanno osato poco. Il figlio di Gigi D’Alessio ha presentato un pezzo fin troppo tradizionale, lasciandolo risucchiare dai cliché; il secondo è apparso invece scontato nell’interpretazione, non sfruttando la penna di Zanotti, apparentemente adatta alle sue caratteristiche. Poteva fare di più anche Ariete (“Mare di guai”, 14° posto), penalizzata da un’andatura cantilenosa. Poco convincenti, poi, due dei ragazzi promossi tra i big da Sanremo Giovani: Will (“Stupido”, 26° posto) e Sethu (“Cause perse”, 28° posto), entrambi apparsi a dir poco scolastici.
Nell’altro festival standing ovation per Mattarella
Oltre che alla competizione canora, ogni anno il Festival di Sanremo dedica uno spazio consistente a quello che è il proprio sguardo sul mondo, proponendo interventi di carattere socio-politico sui temi di maggiore attualità. La 73esima edizione non ha fatto eccezione, non solo nei testi delle canzoni e nei monologhi delle co-conduttrici, ma anche nei vari momenti di intrattenimento. Dopo un commosso ricordo delle vittime del terremoto che ha devastato Turchia e Siria, durante la prima serata, alla presenza di un applauditissimo Sergio Mattarella – prima storica volta di un Presidente della Repubblica all’Ariston -, Roberto Benigni ha esaltato la bellezza della Costituzione, con particolare riferimento alla libertà di pensiero. Libertà al centro anche nel toccante intervento dell’attivista di origini iraniane Pegah Moshir Pour che, accompagnata da una sublime Drusilla Foer, ha elencato i diritti civili negati o repressi dal regime. Più politica, quindi controversa, la lettera del presidente ucraino Zelensky letta da Amadeus nel corso della serata finale. Un testo in cui si fa ripetutamente riferimento alla parola «vittoria», ma dove stride l’assenza di quella più importante, «pace».
Articolo a cura di Domenico Abbondandolo