Ci sono mestieri che si sovrappongono a vocazioni, impossibili da vivere senza partecipazione emotiva. Mestieri che non ammettono orari e normalizzano il sacrificio, che richiedono generosità e non solo preparazione. Ricordate i giorni bui del Covid? Quelli delle sirene continue, delle strade deserte, delle corsie piene, dei camion militari nella notte di Bergamo, dei bollettini, della paura, del lutto? Gli infermieri furono tra i più grandi simboli, scolpiti in immagini che ne raccontavano la dedizione: visi solcati dalle mascherine indossate per interminabili turni, tastiere come cuscini per ritagliarsi un angolo di riposo. Eroi, si diceva, e non era retorica: la memoria è spesso corta, ma non si può dimenticare.
Adesso c’è un nuovo filmato, simbolico e struggente, che racconta amore, impegno e coraggio: ancora una volta in una calamità che non è più pandemia misteriosa ma terra irrequieta, tremore sinistro che distrugge città e vite: quelle di chi rimane intrappolato fra le macerie, quelle di chi resta solo e di chi non ha più nulla: il terremoto di Turchia e Siria, 45mila vittime e intere aree urbane ridotte ad ammassi di detriti e nuvole di polvere. Nel dolore, nelle istantanee tragiche della morte – una su tutte: l’uomo di Kahramanmaras che stringe la manina della figlia Irmak, rimasta schiacciata nel crollo della casa – ce ne sono altre che raccontano speranza e coraggio, amore e solidarietà. Su tutte il video citato, che ci fa piangere di commozione e gioire per il lieto fine, girato dalle telecamere di sicurezza proprio nel momento del sisma, quando i muri ondeggiano e i lampadari oscillano e gli oggetti cadono: l’obiettivo inquadra un’area della terapia neonatale dell’ospedale Inayet Topcuoglu di Gaziantep, Turchia del Sud, macchinari contro le pareti chiare e file di incubatrici. Tutto trema, tutto sussulta, le cullette rischiano di ribaltarsi con gravissimi rischi per i piccoli, fragili, indifesi pazienti. Ma ecco la porta aprirsi e due infermiere vestite di blu accorrere. Non correre, come fanno tutti nel panico. Loro restano, abbracciano le incubatrici, le reggono affinché restino su. Non possono sapere quanto duri la scossa né se la struttura resisterà ma non ci badano; conta salvare i piccoli e a se stesse non pensano, è un atto d’eroismo che la videosorveglianza cattura e diffonde, non isolato a sentire tante testimonianze: in molti ospedali pediatrici gli infermieri hanno protetto i neonati, fatto sgombrare i pazienti più grandicelli e le puerpere e i loro figlioletti, attenti a non trasmettere paura, rassicurando con parole tenere e toni calmi pur covando un umanissimo terrore.
Hanno un nome, le due infermiere del video: Devlet e Gazel. Sono state trovate e intervistate, hanno confidato di aver pensato inizialmente a un’esplosione, di aver avuto paura per i bimbi e mai per loro, di aver sorretto quelle incubatrici mentre faticavano perfino a stare in piedi. Ma il loro nome importa poco, in fondo, sono più che mai due simboli: «Abbiamo ricevuto tanti ringraziamenti – le loro parole -, ma sinceramente crediamo di aver fatto solo il nostro dovere. Siamo infermiere e se succedesse ancora noi o le nostre colleghe faremmo lo stesso. Avessimo agito diversamente, non ce lo saremmo perdonate».
Angeli del terremoto
Tra immagini di distruzione e morte che arrivano da Turchia e Siria, un video di coraggio e speranza: quello delle infermiere che non fuggono mentre la terra trema ma sorreggono le incubatrici e proteggono i neonati. Eroine che non si sentono tali: “Abbiamo fatto solo il nostro dovere”