Cinque domande sull’Italia. Cinque domande per capire a che punto si trova il nostro Pese, dove sta andando e come (e se) si sta evolvendo. Siamo ricchi o poveri, e quanto pesa il tema delle disuguaglianze sulla vita dei cittadini? Il lavoro manca davvero o mancano piuttosto i lavoratori? Quanto i social stanno cambiando la nostra vita? E ancora, cosa significa “ambientalismo” e dove ci sta portando il declino demografico?
Cinque temi di attualità scelti dal giornalista Paolo Pagliaro per fotografare lo stato di salute dell’Italia, raccolti nel suo nuovo libro “Cinque domande sull’Italia. Il dilemma di una nazione inquieta” (Il Mulino, 2022). Ne discuterà questa sera – giovedì – a Cascina Roccafranca (Torino) nell’ambito dell’incontro curato dal gruppo Scintille di lettura inserito nella rassegna “Leggermente”. Fondatore e direttore dell’agenzia di stampa 9Colonne, già redattore capo a La Repubblica, vicedirettore de L’Espresso e direttore de L’Adige e diverse testate locali, dal 2008 Pagliaro cura la rubrica “Il Punto” all’interno della trasmissione “Otto e Mezzo” condotta da Lilli Gruber su La7. Un diario quotidiano che attraverso un’analisi puntuale di dati e fatti indaga e offre una narrazione in controluce dei cambiamenti che percorrono il paese, concentrandosi su temi controversi – giovani, salute, economia reale, nuovi linguaggi, tecnologia – sui quali pesa il tema non banale della qualità dell’informazione. «Mi accorgo – scrive – che ho a che fare con tante narrazioni contrastanti, ciascuna contenente uno scampolo di verità. E ho la conferma che i nostri umori e la nostra sorte sono nelle mani dell’informazione».
Qual è, oggi, il ruolo dell’informazione (e del giornalista)?
«Il ruolo è sempre lo stesso, selezionare fatti che meritano di diventare notizie, per proporle con credibilità. Viviamo una situazione complessa che riguarda la pubblicità e ancor prima la comunicazione. Non è vero che tutti sanno ancora informare. Bisogna fare dei distinguo tra informazione, che è conoscenza, e comunicazione che è persuasione. La prima oggi scarseggia e la seconda abbonda. C’è inoltre una sopravalutazione del ruolo dei social che sembrano il termometro di ciò che è reale, ma non è così: essi riflettono la vita reale, amplificando quello che già si dice in televisione o sui giornali che restano ancora, insieme alla radio i luoghi centrali dove l’informazione viene fruita».
Perché ha scelto di interrogarsi con queste cinque domande, tra tante?
«È un artificio retorico e l’ordine delle domande è uno schema. L’ambizione è di individuare i temi emergenti su cinque questioni strutturali dell’Italia, non le uniche certo. Rispetto a ciascuna mi faccio delle domande e cerco di dare risposte non ideologiche. Sono domande condivisibili, che tutti ci facciamo quando ci scandalizziamo davanti alla povertà o alle disuguaglianze. Così alla domanda se siamo un paese povero o ricco rispondo che siamo “disuguali”. Alcune parti della società sono sempre più ricche e altre sempre più povere. La disuguaglianza più clamorosa e quella con il fisco: c’è chi tiene in piedi sanità, istruzione, pensioni e chi con furbizia evade le tasse. Lo siamo sotto tanti aspetti: di genere, per salario, tra nord e sud, tra territorio. Manca il lavoro o i lavoratori? Da un lato ci sono i lavoratori che “non trovano” e dall’altro gli imprenditori: in mezzo c’è la formazione. Parlano i numeri: in Italia sono 18mila i giovani specializzati formati negli Istituti tecnici superiori e scuole di formazione professionale contro gli 800mila della Germania. Vita vera o “Second life”? Vediamo bene quanta subalternità culturale ha creato il Metaverso. Può essere utile per le applicazioni tecniche o operazioni chirurgiche. Ma è folle la sudditanza tra la vita reale e vita posticcia. C’è un tasso di dolore tra i giovani (con l’aumento di suicidi, ndr) che è indotto e nasce proprio dal confronto tra vita reale e posticcia. Dobbiamo riprendere in mano i nostri compiti pedagogici». Centrale il tema della disintermediazione applicata ai social media. Laddove lo scettro passa al pubblico e la notizia viene ripresa e costruita sui “click”, sulle preferenze del pubblico, aumenta il rischio di diffusione delle fake news, della manipolazione delle notizie. Ne consegue un calo della qualità dell’informazione. «Se educhi una generazione di giovani giornalisti a modellare il lavoro sulle reazioni del pubblico non stai facendo il tuo lavoro», spiega Pagliaro.
Come riappropriarsi del ruolo?
«Bisogna smettere la contrapposizione tra giornalisti ed editori, per produrre informazione certificata, di qualità, vera. E poi incidere sull’economia, per dirottare investimenti sull’informazione di qualità. Chi fa pubblicità deve fare valutazioni etiche, non solo basate sui “click” che premiano il sensazionalismo e hanno poco da spartire con la qualità dell’informazione».
Secondo la sua esperienza, maturata anche in questi anni a Otto e mezzo, il pubblico ha ancora voglia di buona informazione? Insomma, c’è speranza nel futuro?
«Ogni sera c’è moltissima gente che interagisce col programma e riceviamo una valanga di commenti: c’è bisogno di informazione di qualità e di approfondimento. Molti mi scrivono e io passo molto tempo a rispondere».
Articolo a cura di Erika Nicchiosini