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Il dubbio e la giustizia

Ritratto di Cuno Tarfusser, magistrato scrupoloso e a volte scomodo, lontano dal sistema e vicino ai cittadini, che ha chiesto la revisione del processo a Olindo e Rosa, condannati all’ergastolo per la strage di Erba

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«Ho scritto ogni pagina con la massima onestà intellettuale di cui sono capace e con tutta la passione per il mestiere che ho sempre avuto. Direi che il mio compito finisce qui, sta ad altri prendere ulteriori decisioni. E ora vorrei che di me non si parlasse, perché io non voglio niente, non cerco niente. A me importa il merito, non il circo mediatico».
Parole di Cuno Tarfusser, sostituto procuratore generale di Milano, che ha chiesto la revisione del processo per la strage di Erba, convinto dell’innocenza di Olindo e Rosa, condannati all’ergastolo perché giudicati responsabili dell’uccisione, a colpi di spranga e coltello, di quattro persone tra cui un bambino di due anni, e del ferimento di una quinta: uno dei più efferati casi di cronaca nera italiana, avvenuto l’11 dicembre 2006. Le pagine scritte con onestà e passione sono 58, svelano criticità e incongruenze, sollevano un dubbio: «È per me insopportabile il pensiero che due persone probabilmente vittime di un errore giudiziario stiano scontando l’ergastolo». Tarfusser, meranese, 68 anni, è coerente con il suo modo di interpretare il mestiere: sensibilità e scrupolo, ostinazione e vicinanza ai cittadini, inclinazione ad approfondire e valicare le apparenze tanto da smontare, negli anni, verità apparentemente inscalfibili. Scomodo, a volte, perché schietto e zero diplomatico: quando gli fu impedito dal Csm di diventare garante del codice etico del Comune di Bolzano, denunciò in una conferenza stampa «La colpa di non essere parte del sistema», rivendicando l’orgoglio di non farne parte, inoltre spiegò di aver trovato ostacoli dinanzi alla possibilità di guidare un ufficio giudiziario perché avrebbe messo a nudo «l’inadeguatezza, l’incapacità, il dilettantismo di gran parte dei vertici giudiziari e amministrativi».
Sin dal 1985, quando fu nominato sostituto procuratore a Bolzano, Tarfusser si è fatto notare per il modo innovativo di trattare la giustizia, manager e non solo uomo di legge al punto da attuare, diventato procuratore capo, una rivoluzione informatica e organizzativa madre di risultati straordinari – riduzione dei costi pari al 65%, smaltimento arretrato, erogazione servizi amministrativi in tempo reale – e diventata modello per tutti gli uffici giudiziari italiani. Indaga sul terrorismo altoatesino, sull’omicidio del consigliere regionale Christian Waldner e sul mostro di Merano, poi diventa giudice della Corte Penale Internazionale all’Aja dove per dieci anni si occupa di casi delicatissimi, occupandosi di terrorismo islamico e firmando i mandati di cattura a carico del presidente del Sudan Al Bashir per genocidio e di Muammar Gheddafi, di suo figlio e del capo dei servizi libici per crimini contro l’umanità. Efficiente, puntiglioso, animato da un senso di giustizia profondo che ne detta il coraggio e anche la rara qualità di chiedere scusa per errori non personali, ma delle istituzioni che rappresenta: lo ha fatto di recente, chiedendo la parola dalla platea, alla presentazione del docufilm “Peso morto” sulla storia di Angelo Massaro, rimasto ventun’anni in galera per un omicidio mai commesso.

BaNNER
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