Chi ha già visto “Il ritorno di Casanova”, film di Gabriele Salvatores ora nelle sale, sa che Marco Bonadei ha fatto morire di invidia Toni Servillo. D’accordo, parliamo di ruoli, ma certo è che le ire di Leo Bernardi, famoso regista intento a mettere in scena il film tratto dal racconto omonimo di Arthur Schnitzler, il suo giovane e aitante rivale, proprio non lo riesce a tollerare.
Lui si chiama Lorenzo Marino e sta conquistando il red carpet di uno dei più celebri festival, sulla laguna, dove sarà immancabilmente premiato. Non poteva che essere così. Se la storia è anche storia di rivalità intestine tra generazioni, la sconfitta di Leo Bernardi è segnata da principio. Così come la vittoria di Lorenzo, che invece lo venera e non sospetta minimamente di non essere benvoluto. Basta osservarli quando si incontrano davanti all’ascensore dell’albergo, per caso: l’uno vorrebbe cavargli gli occhi, l’altro, con quegli stessi occhi, liquefatti, lo rimira.
Bonadei, parliamo di quella scena, tra le più esilaranti…
«È stato il primo vero incontro con Servillo sul set e quella scena riproduce perfettamente il mio stato d’animo, quello di Marco, intendo. Vedere Servillo recitare è una grande emozione e questo sicuramente ha contribuito alla performance».
Ma tra Servillo e Leo Bernardi ce ne passa.
«Hai voglia. Ma è anche vero che Bernardi è una figura che lo mette a nudo, che lo apre alla sua persona. Salvatores ha creato un personaggio che racconta di un artista non più giovane che prova a fare un bilancio di vita e carriera, non proprio autobiografico ma nemmeno avulso dalla vita di un attore».
Lorenzo invece è un promettente cineasta pieno di belle speranze…
«Infatti. E qui sta la ragione del conflitto. Il mio è un personaggio piccolo ma con un ruolo chiave, di svolta, e quando Salvatores me lo ha proposto ho subito accettato».
Così, senza nemmeno fare un provino?
«No, il provino c’è stato. Prima attraverso un self tape in cui ho inviato dei pezzi montati da me. Dopo sono stato chiamato e poi…».
E poi ha firmato il contratto. Non era la prima volta con Salvatores, vero?
«Infatti. Avevo già fatto “Comedians”, nel 2021, una commedia tratta dal testo teatrale di Trevor Griffiths, portato in scena da Salvatores tanti anni fa. Abbiamo girato in pieno lockdown ed è stato un viaggio bellissimo. Eravamo sul set tutti i giorni, non solo a spizzichi e bocconi come capita spesso nel cinema; ho avuto modo di seguire da vicino il lavoro di tutti, il suo zoccolo duro, oltre ovviamente agli attori».
La commedia è una riflessione sul significato e la funzione della comicità e si domanda se sia impegno o evasione. Lei da che parte sta?
«Ci sono tante declinazioni di comicità. Io prediligo la satira che è il genere artistico anarchico per costituzione, è la comicità più spiazzante, che tira schiaffi».
In Italia chi fa davvero la satira che piace a lei?
«Sicuramente Antonio Rezza, un pazzo furioso con tanto cervello, Corrado Guzzanti, ho amato anche Elio e le Storie Tese e poi Dario Vergassola, un ligure come me, che fa quella comicità anche spiacevole, da ligure appunto».
Perché da ligure?
«Perché i liguri sono spiacevoli. Hanno un carattere di “emme” ma è perché sono stati talmente soggetti a invasioni che adesso detestano chi li invade. E sono schiavi del potere economico».
La proverbiale avarizia quindi non è un luogo comune…
«Più che avari sanno farci con i soldi, ma per cultura».
Sanno o sapete?
«Io ho le mani bucate».
Come spende i suoi soldi?
«In tutto ciò che mi piace. Ma adesso ho appena acquistato casa: a Milano, quando ancora il mercato lo permetteva. Trent’anni di mutuo insieme alla mia compagna, un gesto anacronistico: molto più di un matrimonio».
A proposito di casa, uno dei temi del “Casanova” è la domotica da cui Servillo-Bernardi viene tradito. Qual è il suo rapporto con la tecnologia?
«Tutto quello che arriva dalla tecnologia, se aiuta a migliorare lo stile di vita, è ben accetto, ammesso che sia utilizzato con intelligenza».
Tra il cinema e la domotica quale posto ha il teatro per uno come lei che sul palcoscenico ha mosso i suoi primi passi, da ragazzino?
«Fondamentale. Il cinema è arrivato come un dono, quando ho smesso di cercarlo, anche se è sempre stato il mio sogno. Il teatro rappresenta i miei inizi ma anche grande parte della mia vita di adesso».
Uno spettacolo a cui è particolarmente legato?
«“The History Boys” di Alan Bennett con il Teatro dell’Elfo, trecento repliche, quattro anni di tournée, una compagnia che era come una classe di liceo in gita scolastica».
Con l’Elfo è ormai intesa di lunga data.
«Dal 2009, quando venni preso per “Il sogno di una notte di mezza estate”, contro ogni mia previsione. Grazie a Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani ho potuto crescere professionalmente, attraverso tante piccole sfide, ruoli prima piccoli poi più impegnativi».
E veniamo ai suoi esordi. A quando risale la folgorazione, se c’è stata, per questo mestiere?
«Più che folgorazione ci sono stati tanti piccoli segnali che, messi insieme, mi hanno indicato una direttiva. Le prime recite a scuola nelle quali mi veniva riconosciuta un’abilità, la scuola di teatro frequentata da adolescente, l’ingresso alla scuola del Teatro Stabile di Torino. Fasi diverse che hanno trasformato la curiosità in passione e poi in ossessione e quindi nella mia ragione di vita».
Andiamo per ordine. A Genova c’è la più prestigiosa scuola di Teatro Ragazzi in Italia, la Quinta Praticabile fondata e diretta da Modestina Caputo, una bella fortuna per chi vuole avvicinarsi al mestiere.
«E una grande occasione per conoscere importanti artisti e maestri. Quello che ha fatto Modestina per Genova! Alla Quinta ho incontrato la mia prima insegnante, Giusi Zaccagnini, a cui devo l’amore per questo mestiere».
E poi è finito a Torino, destinazione Teatro Stabile, direzione Mauro Avogadro.
«Mauro! Uno speleologo della parola. Colui che rompe la roccia e trova dentro cose che da fuori nemmeno sospetti. Mauro mi ha insegnato a cercare significati nascosti nel nero scritto sul bianco».
La grande scuola del teatro di parola…
«Infatti. E a Torino ho conosciuto Daniele Salvo con cui avrei poi lavorato spesso, tanto Shakespeare e le tragedie greche a Siracusa, sempre nel solco del teatro di parola».
C’è un personaggio che vorrebbe interpretare?
«Personaggi come Iago o Riccardo III mi piacerebbero, ma più che nei testi e nei personaggi, io credo nelle collaborazioni. Se c’è da parte di un regista una visione su di me, alla quale poter apportare qualcosa di unico, sono pronto».
Non le hanno mai detto che assomiglia a Nick Cave?
«Le volte!».
Le piacerebbe interpretarlo?
«Magari!».
Articolo a cura di Alessandra Bernocco