È il “Mapman” dei vigneti, dalle Langhe alla Toscana. Parliamo di Alessandro Masnaghetti, 60 anni, milanese, autore di libri e cartografie che raccontano il vino e i suoi produttori. E pensare che si era laureato in Ingegneria Nucleare: «Ma era l’anno sbagliato, l’Italia votò il referendum contro il nucleare» dice ridendo. Cosi la passione per il vino prende presto il sopravvento e «divento un assaggiatore seriale» racconta. Prima con Veronelli, per sei anni, poi per conto suo: «Sono arrivato a 25 anni di degustazioni, finché nel 2015 ho smesso. E ho cominciato a dedicarmi alle mappe dei vigneti».
Che cosa significa disegnare la mappa di un vigneto?
«È un lavoro meticoloso, quando disegno una mappa non sono interessato solo ai confini di un vigneto, ma alla storia, alla cultura, alle condizioni pedoclimatiche, all’enologia, alla conoscenza dei produttori, alle migliaia di degustazioni effettuate sul territorio. La mappa di un vigneto è un’operazione a 360 gradi, che coinvolge conoscenze specifiche in più settori».
Perché ha deciso di dedicarsi alle mappe del vino?
«La mia passione per le mappe deriva da oltre 25 anni di degustazioni. Prima di essere cartografo ho assaggiato e recensito migliaia di vini, conosciuto i territori e i produttori, indagato la storia e la cultura di moltissime aree vitivinicole in Italia e nel mondo. Se si ama il vino, non si può non amare il vigneto e il territorio dal quale proviene. Le mappe sono diventate uno strumento per mettere ordine. Inizialmente ho cominciato a farle perché ne avevo bisogno io. Poi anche altri ne hanno capito l’utilità e ora i miei lavori sono venduti in venti Paesi in tutto il mondo. La visualizzazione cartografica del vino ti permette di avere moltissime informazioni in una forma sintetica ed efficace, a colpo d’occhio».
Perché le aziende comprano queste mappe?
«Nei miei lavori non c’è pubblicità, per questo è un prodotto credibile. Ad una degustazione è molto più efficace per le aziende regalare ai clienti una mia cartina piuttosto che una brochure. Le mie mappe sono piene di dati, di curiosità».
Ricorda il suo primo lavoro legato alle mappe?
«Bisogna risalire al ’94, quando ancora lavoravo per Gino Veronelli. Gli proposi di realizzare la carta dei vigneti della denominazione Barbaresco a partire dai tre comuni: Barbaresco, Treiso e Neive. Lui ne fu entusiasta, il pubblico, purtroppo, molto meno. Ricordo che la prima mappa, dedicata al Comune di Barbaresco, vendette pochissimo. Sospendemmo il progetto e migliaia di quelle cartine finirono a marcire nel fienile di Gino. Ne ho salvate solo una ventina di copie».
Oggi sono proprio i Consorzi e le aziende ad utilizzare le sue mappe. Il suo lavoro ha favorito il marketing del vino?
«Ogni mappa nasce dal mio background da giornalista: prima di essere uno strumento di marketing vuole presentare una ricerca di dati, fatti e nozioni il più possibile oggettivi. Sono contento che vengano usate per comunicare un territorio o un determinato vigneto, perché favoriscono la diffusione di informazioni verificate, di natura non pubblicitaria. Il vero intento del mio lavoro è quello di riavvicinare le persone alle radici, di creare una consapevolezza della tradizione su basi scientifiche e documentate».
L’informazione del vino è attendibile?
«A volte è confusa, contraddittoria, piena di nozioni non verificate e leggende, spesso creata ad hoc per esaltare un certo aspetto a discapito di altri. Oggi che i produttori sono diventati i primi comunicatori del loro vino, bypassando i media tradizionali, hanno bisogno di strumenti validi, condivisi e condivisibili su cui basare le informazioni».
Quali sono i suoi vini preferiti?
«I miei cavalli di battaglia sono il Barolo, il Barbaresco e il Chianti classico. Ma bevo anche molti altri vini, cerco di essere un po’ democratico».
Oltre alle mappe ha scritto dei libri, quali?
«Ho scritto due volumi sul Barolo. Uno storico, l’altro con produttori e vigneti. Di questo sono arrivato alla terza edizione, a cui sto lavorando ora. Ci sono sempre nuovi produttori, nuovi territori e vigneti, il volume va aggiornato. Ogni giorno giro in media nove aziende nella zona di Barolo. Un lavoro impegnativo, certosino, che però non cambierei con nessun altro».