«La vera ribellione è scegliere la gentilezza»

Vincitrice di “X Factor” nel 2020, Casadilego oggi incanta con la sua voce pure a teatro: «In “Lazarus”, con Manuel Agnelli, azzero l’ego e lascio fluire quello tsunami di Bowie»

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Ha vent’anni e un curriculum di vittorie conclamate e successi su più fronti, dalla tv al cinema, al teatro; tutto sul filo della musica, che è la sua passione e il suo mestiere.
Vincitrice di “X Factor”, quattordicesima edizione, non ancora maggiorenne, Casadi­le­go, al secolo Elisa Coclite, conquistò fin dal primo momento la giuria composta da Hell Raton, Mi­ka, Emma Marrone e Ma­nuel Agnelli che, di fronte alla sua esibizione di “A Case of You” di Joni Mitchell, riuscì a stento a trattenere le lacrime e a balbettare quasi tra sé “grande talento”.
Da quel momento, da quella standing ovation commossa che segnò il suo ingresso nel talent musicale più seguito, lei, scarpe basse e molto comode, capelli verdi, sorriso aperto, di strada ne avrebbe fatta tanta. Due intensissimi anni, alla faccia del Covid e di tutti gli ostacoli della ripresa. Fino a ritrovarsi in scena fianco a fianco al suo giurato, nello spettacolo che è sicuramente l’evento di que­sta stagione. “Lazarus”, o­pe­­ra rock di David Bowie e sor­ta di suo testamento spirituale con la quale andò in scena a New York nel 2015, un mese prima di morire.
L’idea di riproporla al pubblico italiano è di Valter Malosti, regista e direttore di Emilia Romagna Teatro, ente coproduttore, che ha affidato a Ma­nuel Agnelli il ruolo di Ne­w­ton, l’extraterrestre finito sul nostro pianeta inventato da Wal­ter Te­vis nel romanzo del 1963, “L’uomo che cadde sul­la Ter­ra”, da cui il film omonimo di Nicolas Roeg con Bo­wie stesso e quindi “Lazarus”, il mu­sical, sceneggiato a due mani con Enda Walsh. In­sieme a Newton una cerchia di personaggi che non si sa se reali o immaginari, apparizioni, proiezioni della mente, tra cui la ragazza dei sogni, interpretata da Casadilego.

Elisa, com’è arrivato questo ruolo? Una chiamata diretta o un provino?
«Sono stata chiamata ma poi ho fatto un provino su parte, sia recitato sia sui pezzi che avrei dovuto cantare nello spettacolo. Il mio ruolo è molto interessante e lo spettacolo è proprio bello di per sé. Quella di Valter su Bowie è una visione speciale e sono contenta di poterla vivere dal di dentro».

La sua voce e il suo timbro hanno conquistato il pubblico più disparato, di tutte le età. Sen­tirla cantare “Life on Mars?” è da brividi. Fre­quen­tava il repertorio di Bowie prima di esserne così coinvolta?
«Veramente no. Non so bene perché ma non ci eravamo incrociati. In realtà mi spaventava persino un po’ perché nella sua musica c’è la sua testa, che è uno tsunami».

Ha dichiarato che ha cercato di volere azzerare l’ego e porsi come un portale per fare me­glio passare questo tsunami. Una sfida e una disposizione da artista matura.
«Io non credo che conti l’età, casomai conta la quantità di esperienza alle spalle. Anzi, forse fa più fatica chi ha più esperienza. Ma più di tutto conta la volontà di fare un la­voro su sé stessi. Tanti motivi per cui soffriamo sono collegati all’ego o, forse, sono l’ego stesso».

Attorno a Newton si muovono tanti personaggi satellite: secondo lei sono reali o proiezioni della sua mente?
«In genere non mi piace dare spiegazioni che arrivino dal movimento interno della mia coscienza ma qui mi pare chiaro che i personaggi siano proiezioni del suo cervello. Tutti sono lui e lui è tutti, c’è una circolarità, l’emozione è circolare».

Lo spettacolo toccherà le principali piazze e i più prestigiosi teatri. È la prima vol­ta che affronta una tournée così lunga?
«Sì, è la mia prima tournée, il primo progetto così a lungo termine e con la compagnia è un incontro felice, mi sento in famiglia».

E a proposito di famiglia, lei è figlia d’arte: suo padre è un pianista jazz e anche sua madre è musicista. Quanto hanno inciso nelle sue scelte?
«Ho sempre desiderato fare musica e i miei genitori non mi hanno spinta ma supportata. Gli amici di famiglia sono tutti musicisti, magari non conosciuti dal grande pubblico ma meravigliosi. E con loro non si parla spesso di musica. Il vantaggio di avere due genitori mu­sicisti è di essere capita sen­za sforzi, avendo loro vissuto quello che sto vivendo io».

Il suo nome è curioso: nostalgia dell’infanzia?
«Un omaggio al mio cantante del cuore, Ed Sheeran, colui che mi ha avvicinato alla musica moderna pop. “Lego Hou­se” è il titolo di una sua canzone».

Allora veniamo al vostro incontro…
«Difficile da raccontare. Non riesco nemmeno con i miei amici. Un uomo che è un angelo custode. Incontrarlo è stato come riempire dei buchi».

Aveva così tanti vuoti da colmare? È giovanissima…
«Sono caduta tante volte e credo sia sbagliato pensare che nell’infanzia e nell’adolescenza non si soffra. Oltreché mol­to dannoso».

Certo. E lei cosa fa per attraversare il dolore?
«Niente. Lascio che attraversi me e che poi se ne vada».

È buddista?
«No, sono atea ma penso che il buddismo sia una delle filosofie più sveglie, nel senso che ha gli occhi aperti».

Nella “Stanza di Lego”, il format in cui ospita nella sua stanza gli amici per parlare di musica, ma non solo, si legge “Be kind”. “Sii gentile”. Cos’ è la gentilezza?
«Una qualità molto difficile da praticare perché veniamo co­stantemente punzecchiati e la nostra gentilezza viene messa alla prova. Ma resta l’unica arma che funzioni davvero. La gentilezza è la ve­ra ribellione».

Un suo pregio e un suo difetto.
«Mi butto nelle sfide e non mi accontento ma sono molto pigra».

Come nasce una canzone?
«Ci sono canzoni che si scrivono nell’arco di anni, che hanno bisogno di tempo per evolvere e poi ci sono canzoni che nascono in cinque mi­nuti, da un’esigenza immediata, magari con delle imperfezioni che è giusto che restino perché sono sincere».

Cosa fa quando non lavora?
«Scrivo, leggo, ascolto musica, chiaramente, e cucino. Risotti, soprattutto, e piatti vegetariani, perché sono vegetariana».

Quando ha cominciato a cantare di fronte a un pubblico?
«Da piccola facevo parte di un coro di voci bianche: un’esperienza importantissima dal punto di vista formativo, la consiglio a chiunque si voglia avvicinare a questo mestiere, non ha nessun sen­so avere un insegnante personale a otto anni».

“Tu suoni solo musica classica o anche musica musica?”. Questa domanda gliela rivolge Tommaso Ragno nei panni di Vins, il rockettaro che la sfida nel film di Fabio Mollo “My Soul Summer”, uscito lo scorso anno, in cui lei interpreta Anita, cantando e suonando il pianoforte dal vivo. Quanto le somiglia questa diciassettenne a disagio con il mondo, un po’ impacciata, che si sente a proprio agio solo al pianoforte?
«Nell’amore incondizionato per la musica. Vins è colui che ha regalato a questa ragazzina un’epifania».

Non ha mai avuto la tentazione del rock?
«Ho avuto le mie fasi e da adolescente ascoltavo anche il punk. Ora mi piacciono le Boygenius, un gruppo americano indie-folk-rock formato da tre donne, Julien Baker, Phoebe Bridgers e Lucy Dracus».

Non le conosco e ripiego su “Wiki” dove leggo che il loro nome “nasce per gioco da alcune considerazioni delle tre, che hanno spesso parlato fra di loro di esperienze spiacevoli con collaboratori uomini che sostenevano di essere dei geni”. Ecco.

A cura di Alessandra Bernocco