La radio che va anche in video, Rtl 102.5, lo fa spesso con il volto noto di Massimo Giletti, ma anche con il garbo e l’essenzialità di un conduttore di 24 anni: Luigi Santarelli.
La sua passione per il giornalismo, come è nata?
«È iniziata con la radio, io sono sempre stato prima di tutto un ascoltatore di Rtl 102.5. Avevo 15 anni quando la ascoltavo ogni mattina prima di andare a scuola, dalle 7 alle 7,30 per la rassegna stampa che adesso faccio io. C’era poca musica in quella fascia oraria e si parlava di attualità. Non ascoltavo la radio per la musica, ero un po’ strano».
Attrazione fatale per le notizie?
«Sì, ma a Rtl ci sono arrivato per caso. All’epoca ero in quarta liceo a Roma (ora invece studio a Milano), come rappresentante d’istituto organizzammo una serie di attività con incontri e dibattiti. E siccome ero un grande fan di Rtl, ci tenevo a portare qualcuno di loro così contattai Fulvio Giuliani – che è ancora qui – mandai una mail convinto che non avrebbe mai risposto e invece fu molto disponibile. Poi l’evento non si fece ma io intervenni come ascoltatore a “L’indignato speciale”, la trasmissione alla quale ora partecipo, e poi mi chiese se mi andava di venire in studio: da lì è partito tutto».
Però intanto sta studiando ingegneria…
«Mi sono laureato alla Sapienza a Roma, adesso sto seguendo la magistrale a Milano. Sono due mondi diversi, però entrambi mi appassionano. Mi sono impegnato, fin qui, a non dover mai scegliere tra uno e l’altro. Per adesso ci riesco, in futuro vedremo».
Quali argomenti affronta maggiormente in trasmissione?
«Di trasmissioni ne conduco più di una, alla mattina “Non stop news” è un contenitore di attualità. Prima chiacchieriamo con gli ascoltatori sul tema del giorno, poi una mezz’ora di rassegna stampa con Davide Giacalone, dopodiché un’altra ora e mezza di interviste. Puntiamo molto sulla politica: ci sono sondaggi molto interessanti su cosa il pubblico vuole sentire e la politica c’è sempre. Seguiamo ciò che la gente preferisce, tanta cronaca, notiziari, poi il costume. Abbiamo dato tanto spazio all’incoronazione del re Carlo che è stato un evento».
Crede che il suo punto di vista sull’attualità, essendo molto più giovane della media dei giornalisti che gestiscono l’informazione, sia diverso?
«Sì, ma non necessariamente migliore. Anzi, per quanto io legga tutti i giorni i quotidiani, la mia preparazione non può essere la stessa di chi ha anni di carriera alle spalle. Almeno, non ancora. Faccio questo lavoro appena da quattro anni. L’età ti fa vedere le cose in maniera certamente diversa, ma non ne è una questione generazionale. In studio su tanti temi ci scontriamo con Massimo Giletti, la vediamo in maniera opposta. Ma non per un fatto generazionale, spesso si dice: i giovani, in quanto tali, la pensano così per forza. Non è vero».
Com’è la relazione con Giletti?
«Lui è un grande professionista. Siamo ormai alla terza stagione insieme. Va seguito sempre, perché è sul pezzo più di tutti, bisogna stargli dietro. Fa il suo lavoro da tanti anni. È impegnativo, però è bello così, diciamo che non ci si annoia mai».
Su cosa siete in disaccordo? Sulla politica?
«Anche, la trasmissione è tutta una chiacchierata con gli ascoltatori e si sviluppa come un confronto tra Giletti e loro. Io faccio da capotreno, anzi da capostazione. Però non è che ci troviamo per forza su posizioni opposte, spesso è naturale essere in disaccordo. Ma quando accade, è un valore aggiunto per la trasmissione».
Dal suo osservatorio, come giudica questa politica?
«Diciamo che guardo con grande ottimismo e speranza al futuro, ma servirebbe una maggior consapevolezza su certi temi quando si governa. A volte noto che si propongono soluzioni semplici per problemi che semplici non sono. Quindi c’è anche chi dice: cosa ci vuole a essere parlamentare, possono farlo tutti. Non lo so, rappresentare una parte di cittadinanza forse, ma saper mettere mano a questioni complicate è diverso. Parlo anche delle politiche locali, io sono di Roma e il mio Municipio è grande quanto una città medio-grande italiana. Per me si è un po’ perso il concetto di complessità. Non è solo una questione di competenze perse, non solo quella, forse ora ci si è convinti che non c’è differenza. Invece ce n’è, eccome».
Ed è ottimista per il futuro?
«Non posso che essere ottimista. Se a 24 anni fossi rassegnato, saremmo finiti. Ho l’obbligo di essere ottimista».
Un momento delle sue dirette radiofoniche che si porta nel cuore?
«La radio, più della televisione, riesce a far compagnia, noi abbiamo tanti ascoltatori che ci seguono e ci scrivono “io sono da solo”. Magari è per un periodo, ma ci dicono “io non ho nessuno, però ci siete voi”. Porto nel cuore la telefonata di una signora anziana due anni fa, quando c’era la pandemia. Non ricordo il nome e da dove chiamasse ma scoppiò in lacrime al telefono in diretta. La signora ci disse che non aveva nessuno, che era sola. Le ho risposto d’istinto: ci siamo noi. Quel momento intenso riassume ciò che può fare una radio».
Ha un obiettivo da raggiungere?
«Devo migliorare, qui ho ancora tanti traguardi da inseguire. Sperimentiamo in continuazione, ogni giorno ci sono novità. Sono proprio curioso di vedere tra dieci anni cosa sarà accaduto, visto che se guardo indietro, vedo che sono cambiate così tante cose».
Dicono le classifiche che l’Italia è agli ultimi posti della libertà di stampa.
«Ogni classifica segue criteri diversi. Spesso tra questi c’è la percezione di un fenomeno. Non sono così presuntuoso da poter dire quale sia lo stato di salute dell’informazione in Italia, però a volte vediamo le cose peggio di quanto siano. Ci sono ancora tantissimi professionisti che fanno bene il loro lavoro e io conosco tantissimi ragazzi che, alla mia età, hanno voglia di fare altrettanto bene. Il problema è che per una miriade di motivi questo è un settore con difficoltà strutturali. Cambia il modo di informarsi, al tempo stesso i soldi sono sempre meno. La sfida allora sarà vedere se potremo continuare a fare giornalismo così come lo abbiamo sempre fatto, secondo il modello del quotidiano che chiude alle 11 e mezza di sera. Vedremo. In Italia siamo spesso affezionati al “come eravamo”. E quindi siamo un po’ restii a vedere il futuro. Se il giornalismo dovrà abbandonare qualcosa della tradizione, non sarà una tragedia e se saremo bravi, ci sapremo adattare».
Per finire: conosce il Cuneese e le Langhe?
«Sì, anche se non bene quanto vorrei. Quando sei studente e lavoratore, ti manca un po’ di tempo libero… Faccio il mio lavoro con passione però ammetto che è un po’ che non mi concedo una vacanza…».
CHI È
Classe ’99, romano, è speaker di Radio Rtl 102.5 dove conduce in diretta diverse trasmissioni interagendo con gli ascoltatori. Si è laureato all’Università “La Sapienza” di Roma e attualmente frequenta il corso per la laurea magistrale al Politecnico di Milano
COSA HA FATTO
Ha cominciato giovanissimo alla radio di cui è sempre stato un ascoltatore tra i più appassionati, facendosi apprezzare subito (a Radio Zeta) per equilibrio e competenza nella conduzione
COSA FA
Affianca Massimo Giletti ogni mattina nel programma dedicato ai commenti del giornalista di “Non è l’Arena” e a quelli degli ascoltatori. Prima e dopo, si occupa di altre trasmissioni in diretta, dalla “Rassegna stampa” a “L’indignato speciale”