Dall’11 marzo scorso il Castello di Grinzane Cavour ospita la cucina dello chef Alessandro Mecca nel ristorante “Alessandro Mecca al Castello di Grinzane Cavour”, che offre 40 posti su 9 tavoli, con servizi a pranzo e cena dal mercoledì alla domenica. Nell’affascinante location, il cuoco torinese classe 1984 – stella Michelin dal novembre 2018 – sta coltivando la sua personale idea di ristorazione, votata a una semplicità che illumina, alla concretezza e all’amore per i dettagli. Per approfondirla, peraltro pochi giorni dopo il rinnovamento del suo sito web (www.alessandromecca.it), noi di IDEA lo abbiamo intervistato.
Mecca, da qualche mese è il nuovo chef del ristorante situato nel maniero sede dell’Enoteca Regionale Piemontese Cavour, presieduta da Roberto Bodrito e diretta da Marco Scuderi. Che emozioni sta provando?
«Il posto è una meraviglia, la sfida è di quelle molto importanti. Siamo ancora in una fase iniziale, ma siamo partiti bene e di sicuro il lavoro è gratificante».
Qual è la sua idea di cucina?
«Una decina di anni fa ho iniziato un percorso con l’idea di concentrarmi sul gusto e sul “minimal”. Sto cercando di eliminare il superfluo, quello che durante un pasto non serve, per focalizzarmi sul gusto primario e sul prodotto, ossia su una cucina di verità e concretezza».
Un’idea che si sposa perfettamente con le colline di Langa. Come si trova nel Cuneese?
«Bene. Il luogo parla da sé: quando si arriva al mattino o si va via la sera, affacciandosi fuori ci si trova di fronte a un panorama mozzafiato. Tra l’altro, la pioggia di questi mesi è servita a far rinvigorire tutto, si percepisce una natura intensa, molto bella».
Se dovesse paragonare queste terre e la loro gente a un piatto, quale sarebbe?
«Mi viene in mente un piatto “tosto”, uno di quelli che non ti aspetti. Penso a un grande secondo, un grande piatto di carne cucinato con maestria, dove dietro una crosta croccante si nasconde un lato di morbidezza interno, che bisogna saper valorizzare».
Restando in tema di piatti, qual è invece quello a cui è più legato in assoluto?
«Sicuramente il risotto, perché è il primo che ho imparato a preparare. È un piatto a cui sono molto legato, ci tengo che venga sempre fatto al meglio dai miei ragazzi in cucina. Poi mi piacciono tutti quelli in cui si vede la mano netta del cuoco, quindi i secondi, i piatti cucinati».
Quando ha deciso di voler essere chef nella vita?
«Avevo due opportunità: la carriera militare o quella da cuoco. Le foto da bambino, però, erano in cucina, con il grembiule, quindi non ho avuto molti dubbi. Non mi sono trovato lì per caso, sono figlio di ristoratori, quindi è stato un percorso naturale».
Quali sono i suoi maestri?
«Sicuramente i miei genitori per quanto riguarda l’aspetto della dedizione al ristorante. Poi ho avuto tanti maestri, citarne qualcuno potrebbe sminuire altri. Sono ad ogni modo figlio della cucina italiana, mi sento un suo allievo e la amo da Nord a Sud, in tutte le sue sfaccettature».
A tal proposito, cosa pensa della ristorazione italiana?
«Penso che sia cresciuta molto, ci sono tanti talenti. Siamo però in un momento di difficoltà e dobbiamo capire quale sia la strada del ristorante del futuro. L’assenza di personale ci sta massacrando e stiamo facendo poco per risolvere il problema. Dovremmo organizzarci per gestire al meglio tutto, anche perché qui in Italia potremmo vivere di turismo e di enogastronomia».
Tornando al suo percorso professionale, l’ottenimento della Stella Michelin è stato il momento più bello?
«La Stella Michelin è stato il coronamento di un sogno, del primo sogno lavorativo che avevo. Ce l’ho fatta con grande sacrificio e anche merito, grazie a un percorso fatto con i ragazzi e con le persone che mi hanno seguito nel progetto. L’anno della Stella è stato davvero entusiasmante, il più bello della mia vita professionale. È come una squadra che sa di essere forte e vuole vincere lo Scudetto. Si lavora tutto l’anno per quello, è bello e gratificante».
Si avverte un totale appagamento, immagino.
«Sì. Vedere i miei genitori così orgogliosi di me è stato un grande traguardo dopo il dispiacere che avevo causato loro lasciando la scuola».
La cucina è il suo grande amore. Quali sono le sue altre passioni?
«Amo lo sport e i cani: ne ho due bellissimi a cui dedico tutto il tempo che posso quando sono libero. Mi piacciono poi il mare e la montagna, adoro stare con la mia compagna e con gli amici e dedicarmi alla natura. Mi definisco una persona semplice, assai legata ai rapporti umani».
Chiudiamo guardando al futuro. Qual è il suo auspicio per il ristorante di Grinzane?
«Il mio auspicio è che sia un ristorante che racconti una storia fatta di concretezza e di verità. Voglio che sia un ristorante aperto a tutti, un punto di riferimento anche per i giovani. Vorrei che rappresentasse un cambiamento della ristorazione da questa bomba che è stata la televisione, riportando al centro il vero lavoro del cuoco, incentrato – come dicevo – su concretezza e verità».
Articolo a cura di Domenico Abbondandolo