«Nasco con la passione per l’ecologia, solo in seguito ho aggiunto quella per la cucina». Non è un caso se Tessa Gelisio, popolare conduttrice televisiva (“Cotto e mangiato” il suo brand), sia stata ospite del convegno sul tema del riciclo che si è svolto nella sede di Banca d’Alba un po’ di giorni fa. «Quello della sostenibilità – ci ha detto – è un tema trasversale, importante anche se si parla di alimentazione».
Ma comunicare il riciclo è ancora complicato?
«Il tema è ormai “sdoganato”, piuttosto non si parla abbastanza della filiera corretta, cioè di ridurre prima i consumi, poi riutilizzare e infine riciclare. Ora sembra che se fai raccolta differenziata, salvi il pianeta. È il minimo sindacale, sinceramente».
E trova che ci sia la stessa sensibilità in tutta Italia?
«Io frequento la Sardegna dove la differenziata è arrivata solo otto anni fa, però è già una realtà acquisita».
Assistiamo a un cambiamento culturale?
«Mi occupo di questi temi da trent’anni, vedere milioni di ragazzi nel mondo che vanno in piazza per l’ambiente, sarebbe stato impensabile pochi anni fa. Vero però che c’è tanto “greenwashing” e polarizzazione sui temi, inoltre molti parlano senza competenza».
E per quanto riguarda l’alimentazione?
«I dati sul biologico non sono così in crescita come ci aspetteremmo, in base alla nuova sensibilità. Va meglio per il consumo della carne rossa, ma non per chilometro zero e stagionalità. Manca la convinzione che sia necessario un nuovo stile di vita. Tra cambio di mentalità e una messa a terra coerente dei principi rimane il gap. Molto spesso la motivazione principale è salutare, non tanto per l’impatto ambientale».
Quale messaggio cerca di lasciare con il suo lavoro?
«Parlo di prodotti a chilometro Italia, perché “zero” per esempio è difficile per chi vive a Milano. Con le eccellenze italiane abbiamo la possibilità di soddisfare tutte le esigenze biologiche di stagione per un impatto ambientale pari a zero. Poi promuovo una riduzione del consumo di carne, in particolare rossa. Le proteine le cerco solo biologiche o da allevamento a pascolo, dove la differenza per il benessere animale e l’impatto ambientale è notevole. Di carne se ne può mangiare meno, se la qualità costa di più. Ci sono legumi sostitutivi senza dover fare una scelta vegetariana o vegana. I prodotti tropicali come caffé e cioccolato, invece, li voglio solo da commercio solidale bio e da filiere certificate».
Nulla di troppo impegnativo.
«Basterebbero queste regole, che poi sono quelle della dieta mediterranea: abbiamo sempre mangiato così, ovvero con cereali, frutta e verdura. E non la brioscina tutte le mattine al bar. Tornare alla dieta mediterranea permette di ridurre il nostro impatto ambientale e di migliorare la salute. È la nostra tradizione: una volta non c’era la bistecca tutti i giorni o il dolce a fine pasto. No a prodotti raffinati, sì a legumi, frutta secca, olio poi la carne. Il dolce una porzione a settimana».
Se era tradizione, quando è stata presa una strada diversa?
«Quando le donne hanno iniziato a lavorare seriamente lasciando a casa i ragazzi, ma senza insegnargli a cucinare. Si sono arrabattati con i cibi pronti ed è mancato il passaggio culturale per cucina e spesa. La generazione successiva è stata totalmente vittima della comunicazione commerciale sul cibo pronto, le merendine, le caramelle…».
Quali sono ora i suoi impegni?
«Riparto a settembre con “Cotto e mangiato”, ho la mia cantina di vini, l’associazione e il lavoro sui social per la sostenibilità».
Conosceva già le Langhe?
«Certo, siete stati i secondi dopo noi toscani a fare il vino moderno, quindi siete un riferimento per la viticoltura. Appena posso vengo. Mi piace meno la tendenza alla monocoltura senza biodiversità, senza siepi e boschi: così diventa un paesaggio lunare… Ma cambierà, perché le problematiche ambientali portano a una rinaturalizzazione dei territori. Dove ho la cantina, in Sardegna, c’è una viticoltura particolare, su sabbia, piccoli appezzamenti ma in un ecosistema che rende più ricco il vino e lo protegge. Non a caso per un’agricoltura biologica serve un ecosistema sano intorno. Le Langhe hanno conosciuto un successo esponenziale, ma non devono desertificarsi».
Come fare per conciliare gli interessi economici?
«Si deve ridurre la quantità: qui c’è qualità e si può. Scelta inevitabile perché poi è la natura che porta a farlo. Se non aumenti la resilienza, avrai danni all’agricoltura».
Cosa ama del suo lavoro?
«Sensibilizzare le persone al cambiamento è difficile, tendiamo tutti a mantenere le cose come stanno. Però si può fare. L’ho imparato dai miei genitori, da tante persone incontrate, dai volontari. È fondamentale condividere conoscenza. Anche in Italia? Sì, quando ho iniziato a fare giornalismo su tematiche ambientali mi prendevano per pazza. Ora tutti ne parlano ma spesso senza competenza, confondendo il buco dell’ozono con l’effetto serra. Il prossimo step sarà passare dalla sensibilità alla conoscenza. Per agire».
E se a scuola ci fosse educazione ambientale?
«Saranno vent’anni che se ne parla, tutto resta affidato ai singoli insegnanti. Io sacrificherei per esempio il latino pur di dare spazio al nostro futuro».