Quando affiancata da desiderio, persistenza e studio, la passione può diventare magia e trasformare i sogni in realtà. È la lezione del percorso artistico di Matteo Piccininni, giovane musicista saviglianese, direttore d’orchestra reduce da una brillante esperienza in America, da sette anni alla guida del coro “Compagnia musicale cuneese”. IDEA lo ha intervistato.
Piccininni, qualche settimana fa ha vinto una masterclass alla Carnegie Hall di New York. Quali emozioni le ha suscitato questo traguardo?
«Felicità e gioia. Sono contento per i miei genitori, per chi mi è stato vicino e ha fatto sacrifici per me. Ma ho avvertito anche un senso di rivincita».
Qualcuno l’ha ostacolata?
«Sono sempre stato circondato da persone che mi hanno spinto e sostenuto nel mio percorso, tranne quando ho cominciato a studiare Direzione d’Orchestra a Parma. Un insegnante, al primo anno, mi disse che non avevo le qualità per fare il direttore. Essere stato a New York un mese dopo la laurea è stato quasi liberatorio».
Come si è presentata quest’opportunità negli States?
«Avevo inviato il materiale per accedere alla prima fase, poi ci sono state le selezioni per dieci candidati. Speravo di essere scelto, ma non me lo aspettavo».
E com’è stata l’esperienza?
«Abbiamo svolto tre giorni di prove, dalle 14 alle 22, in cui avevamo dei commissari che ci valutavano. Dopo di che ci sono stati altri due giorni di preparazione al concerto, che si è tenuto il 26 maggio».
Di recente ha firmato un contratto con un’agenzia svizzera di management. Quali sono i progetti futuri?
«Sarò a Firenze per due concerti, dal 26 agosto al 2 settembre; sono poi in attesa di due date per Londra. Il Maestro dell’Orchestra di New York mi ha inoltre chiesto di collaborare: dovrei quindi tornare oltreoceano per dirigere un concerto lì. Intanto si studia, si continua a partecipare a masterclass e concorsi. Un direttore d’orchestra non smette di formarsi e studiare, nemmeno a ottant’anni».
Il suo percorso parte da lontano: quando e com’è nata la passione per la musica?
«I miei genitori amano la musica: mio padre si dilettava a suonare, ma nessuno dei due l’ha studiata, benché mia madre lo desiderasse. Da piccolo ho provato anche con lo sport, ma poco a poco, quando ho dovuto compiere le prime scelte, mi sono accorto di una cosa…».
Quale?
«Potevo fare a meno di tutto ma non della musica. Così poi tutto il resto è venuto quasi naturale. Pensi che a casa ho una foto in cui, neonato, sto provando a “suonare” la tastiera che si era comprato mio padre».
Sognava già allora di diventare direttore d’orchestra?
«No, e a dire il vero era una cosa che non mi piaceva. Ho studiato Pianoforte e volevo fare il concertista. Dovendo scegliere il secondo strumento, per non compromettere la tecnica acquisita, scelsi Direzione di Coro».
E cominciando a dirigere le cose sono cambiate…
«Rimasi folgorato da questo mondo: fu una cosa bellissima. Riuscire a creare musica con qualcuno che non hai mai visto e far sì che la gente lo percepisca è davvero magico. Da lì ho scoperto un’intera dimensione che, se avessi fatto il concertista, non avrei potuto esplorare. Ecco perché ho preso questa strada».
Ha dei modelli a cui ispirarsi?
«In questo periodo mi è molto caro Claudio Abbado. Anche il suo insegnante sosteneva che non potesse diventare direttore, per cui, con le dovute proporzioni, sento la mia esperienza affine alla sua. Dopo New York, dove è un idolo, mi ispiro anche a Toscanini. Ma, in generale, guardo a tutti i grandi direttori».
Cos’è per lei la musica?
«Noi direttori abbiamo una grande responsabilità, che è quella di servire la musica, a ogni costo. La musica è magia, un qualcosa di intimo. Durante una masterclass di Direzione di Coro ero girato di spalle, quindi il coro non mi vedeva, non muovevo nemmeno le mani e pensavo a cosa volevo che il coro facesse. Non so spiegarmelo, ma il coro lo faceva. Ricordo che rimasi gelato quando pensai “Adesso facciamo il crescendo e chiudiamo” e loro smisero».
Come una magia misteriosa, insomma…
«La musica è questo. L’ho avvertito pure a New York. Di fronte a un’orchestra di professionisti che non conosci e non ti conoscono hai cinque minuti per convincerli che sei bravo. Se si riesce a creare una connessione in quei pochi attimi, il resto viene da solo».
Tornando alla sua formazione, fondamentali sono stati i primi passi a Savigliano e gli studi al Conservatorio Ghedini di Cuneo. Cosa porta con sé di quei percorsi?
«A Savigliano ho cominciato a formarmi musicalmente facendo esercizi di ritmo, un qualcosa che poi rimane nel tempo. Ho trovato degli insegnanti – uno su tutti, Ivano Scavino – che mi hanno spinto ad andare al Conservatorio. Il “Ghedini” è stato importantissimo, anzitutto perché è stato il luogo in cui ho scelto di fare Direzione, poi perché lì ho conosciuto Elena Camoletto, la mia insegnante, che considero la mia madrina musicale. Chiaramente sono legatissimo a Cuneo: sono state le radici di quello che faccio ora».
La sua esperienza può essere un’ispirazione per altri giovanissimi studenti. Cosa consiglia loro?
«Di non mollare mai, crederci sempre e puntare con convinzione al massimo. Magari non è sempre possibile farlo, ma bisogna comunque pensare di poter raggiungere la vetta, un po’ come fanno gli imprenditori. Per la musica, nello specifico, è importante seguire la passione: molti la mollano per le scarse possibilità lavorative, ma in realtà la musica offre tante opportunità. L’importante è mettersi in gioco e studiare».
Chiudiamo con una curiosità: trova il tempo per fare anche altre cose oltre alla musica?
«Ho come hobby l’informatica, il gaming e la lettura. E amo anche fare sport!».
Articolo a cura di Domenico Abbondandolo