Il fotografo braidese Manuele Galante ci ha raccontato il suo per- corso professionale e le immagini che lo hanno contraddistinto fino ad oggi.
Cominciamo dall’inizio: come è nata la sua passione?
«Ho ben chiaro in testa il preciso momento. Sono partito come assistente del fotografo pubblicitario ed editoriale di Bra, Daniele Testa. Lo accompagnavo spesso nei lavori che faceva per Mondadori. In un servizio fatto alla Biblioteca Brera a Milano una decina di anni fa, abbiamo avuto la fortuna di poter vedere la seconda stesura originale dei “Promessi Sposi” scritta da Alessandro Manzoni. Ho capito che la fotografia è un passe-partout e ti può aprire delle porte incredibili e fare esperienze uniche. Insieme a Daniele, abbiamo fatto dei servizi davvero emozionanti, scoprendo mondi fantastici. La fotografia è un mezzo affascinante».
La tappa con Corrado Morando?
«Sono diventato suo assistente in un secondo momento. Uno specialista della fotografia commerciale. Con lui, ho fatto un cambio di passo, prendendo in mano la macchina fotografica. Mi ha dato l’input per realizzare la mia mostra “Alza la testa” realizzata in collaborazione con la Cooperativa sociale Progetto Emmaus, una mostra che racconta la disabilità attraverso le immagini, in particolare attraverso i volti. La mostra è stata ospitata a Palazzo Mathis, a Bra e alla Banca del Vino di Pollenzo. Proprio in questi giorni è stata inaugurata presso Corso Torino 18 ad Alba e sarà fruibile gratuitamente fino al 23 settembre».
Quando ha capito che la fotografia stava diventando un lavoro?
«Quando ho comprato la mia prima macchina e mi hanno pagato per delle fotografie. Ma soprattutto, quando ho capito che è il mondo dove posso esprimermi, dove posso far vedere come osservo e interpreto ciò che ho davanti a me. Ogni foto è introspezione, una sorta di autoritratto. L’approccio è stato una casualità, poi tutto in divenire. Un piacevolissimo divenire. Quando ho iniziato a portare a termine dei lavori più grossi, allora ho iniziato ad avere la consapevolezza sia di cosa mi aspettava, sia di cosa stavo facendo».
Parliamo di lavori importanti.
«Allora rispondo con chef stellati come Enrico Crippa e Pasquale Laera. Ho avuto il piacere di fotografarli e conversare con loro. Sono degli artisti che creano i loro mondi con gli ingredienti e i piatti che sono vere e proprie opere d’arte, con un preciso perché. Assieme al funambolo Andrea Loreni ho vissuto in prima persona la sua spiritualità e concentrazione davvero sconvolgenti. Poi collaboro con aziende importanti come la Miroglio Fashion, realizzando lavori per marchi come Motivi, Oltre, Fiorella Rubino, Caractére, Diana Gallesi. Mi sono accorto che ogni ambiente è un mondo composto da tanti micromondi ed è tutto fatto e mosso da persone. Qui entro in gioco io, per fotografare le persone. Difficile da spiegare a parole, più facile da fotografare».
I volti sono i suoi soggetti preferiti?
«Cito una massima di Giovanni Gastel (fotografo scrittore e poeta milanese, spentosi nel 2021, ndr). Quando ti faccio un ritratto, non ti sto solamente fotografando, ma lo sto facendo attraverso il mio filtro. In quel ritratto sei tu, dentro di me e fuori di me perché ogni fotografia parla di noi stessi, perché in quella frazione di secondo la tua vita e la mia si mescolano e succede un qualcosa che rimane impresso per sempre. Una bella foto non è la stessa cosa di una foto bella».
Il suo scatto migliore?
«Io credo che le foto migliori siano quelle che realizziamo con gli occhi senza l’utilizzo di uno strumento, perché viviamo quel momento senza il filtro della macchina fotografica e senza dedicare quel tempo a trovare la luce migliore o l’inquadratura perfetta».
Cosa c’è nel suo futuro?
«Sul territorio di Langhe e Roero ci sono diverse realtà aziendali che mi hanno contattato. Per raccontare, a modo mio, i loro lavori e le loro professioni».
Obiettivi?
«Tutti i giorni mi pongo questa domanda. Vivo alla giornata, step by step. Voglio farmi conoscere il più possibile, per quello che sono e quello che so fare, e allargarmi. La fotografia è universale, occorre sapersi adattare e occorre sapersi formare a 360°».