Una grande mostra corale che prende spunto da un archivio familiare e racconta lavoro, vita e passione di un grande del cinema italiano del ’900. Questo, e tanto altro, è la mostra “La Grande Guerra” dedicata a Mario Maffei, aiuto regista di Mario Monicelli. Si potrà ammirare sino al 29 ottobre ad Alba, nel Coro della Maddalena, nella mostra curata dal figlio Stefano e dai fotografi Lucia Baldini e Bruno Murialdo. In esposizione circa 50 immagini in bianco e nero che raccontano altrettanti anni di cinema, catturando gli sguardi di grandi attori come Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Anna Magnani, Claudia Cardinale, la vita sul set, il grande lavorio delle troupe, i grandi registi con cui Maffei (che è stato aiuto regista, giornalista, regista per il cinema, il teatro la lirica, attore) ha lavorato. Per 9 film con Monicelli, dagli esordi di “Pioggia d’estate” a “I soliti ignoti”. Poi Mario Camerini, Valerio Zurlini, Duilio Coletti e tanti altri fino a un giovanissimo Giuseppe Tornatore.
Stefano, quali emozioni prova nel proporre una mostra su un grande film e su grandi interpreti?
Stefano Maffei: «Sono sei anni che la proponiamo. L’appuntamento forse più importante è stato al sacrario militare di Redipuglia, monumento in onore dei caduti della Prima Guerra Mondiale. È stato un momento bello ed emozionante. Poi ci sono stati appuntamenti più intimi, il primo con Lucia Baldini in una libreria storica di Campo de’ Fiori, la Fahrenheit 451 la cui titolare abitava dove abitavamo noi Maffei, in via dei Giornalisti a Roma. Eravamo tutti noi di quella strada lì, e venne anche Daniele Costantini, mio amico d’infanzia che da 50anni lavora nel cinema e nel teatro come sceneggiatore e regista e ha scritto, grazie a Lucia che ha avuto l’idea, un testo affettuosissimo per il libro di presentazione de “La Grande Guerra” (edito da In Alto)».
Com’è nata la collaborazione con Bruno Murialdo?
Bruno Murialdo: «Un pomeriggio di un anno fa ero qui nel mio studio. Stefano era ad Alba per il centenario di Fenoglio. Entra a curiosare tra le fotografie e cominciamo a parlare. Mi ha parlato del suo papà, del cinema. Io ho lavorato per molti anni con Sandro Bolchi, che era amico di Mario Maffei. Siamo entrati subito in sintonia ed è stato naturale immaginare una mostra qui ad Alba. Grande collaborazione l’abbiamo trovata nell’assessore alla cultura Carlotta Boffa. Lucia è centrale, perché ha fatto tutto il lavoro».
E la mostra albese?
Lucia Baldini: «La versione che portiamo ad Alba è la prima in assoluto. Con Stefano ci siamo incontrati diversi anni fa in Tuscia, sul lago di Bolsena, dove c’era un festival di fotografia a cui partecipavo con una mostra su Cuba. Il direttore artistico me lo presenta e lui mi racconta del babbo: aveva il desiderio che si sapesse di lui, di tutto ciò che aveva fatto. Aveva già organizzato delle mostre a Valentano e a Farnese col materiale dell’archivio familiare tenuto dalla mamma. A me appassionava quest’idea degli archivi familiari che non devono morire perché connettono la realtà e la storicizzazione sia della famiglia ma anche di persone che hanno attraversato qualcosa, nello specifico il cinema italiano».
Quindi Alba ha un’esclusiva?
Lucia Baldini: «Sì. Arrivando qui e vedendo che lo spazio era più grande abbiamo messo mano anche a un’altra parte d’archivio dando un taglio più legato al cinema di quel momento storico. Qui ci sono almeno altri 6 o 7 film e il corpo fotografico, pur composto da piccoli assaggi, diventa complessivamente interessante. Mentre per “La Grande Guerra” avevamo digitalizzato le foto, in questa mostra c’è un dialogo tra analogico e digitale, pannelli con i provini a contatto dei negativi in cui troviamo appunti di taglio che Maffei ha lasciato per gli stampatori. È come se ci fossero 50anni di storia della fotografia».
L’inaugurazione è stata preceduta da un incontro con più di 200 studenti delle scuole superiori. Qual è stata la loro reazione nel vedere queste immagini?
Stefano Maffei: «Ho raccontato di una scena girata a Fiumicino, che doveva essere Berlino, per il film “Da Berlino l’apocalisse”. Ero sul set con mio padre: si doveva girare la scena di una jeep militare che percorreva il viale lungo il finto muro di Berlino. Ma la jeep era ferma e si doveva simulare. Gli attrezzisti hanno messo due pali di legno sotto la macchina e hanno cominciato a farla dondolare…».
Lucia Baldini: «Un ragazzo ha chiesto: “Ma gli effetti speciali?”. Pensa che cortocircuito tra quello che ha raccontato Stefano e come un ragazzo oggi vede gli effetti speciali. Ne ho approfittato per un parallelo su cinema analogico e digitale e lui annuiva come se si rendesse conto dell’artigianalità di creare qualcosa con niente. L’aneddoto ha stimolato un effetto profondo».
A cura di Erika Nicchiosini