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«La politica sbaglia se non si preoccupa di chi non ce la fa»

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Un giornalista in controtendenza, Luca Sommi: ab­bi­na citazioni le­t­terarie a un’attenzione cronistica non scontata. Lo ab­biamo quindi contattato e in­tervi­stato per IDEA.

Abbiamo visto “Accordi & Di­saccordi”, dove ci sono opi­nio­ni di segno opposto ma il di­battito è sereno. Allora si può?
«È una strada forse impervia televisivamente, però i risultati ci stanno dando ragione. Credo che la tv abbia il compito di argomentare, specie in un momento in cui tutto è botta e risposta, bianco o nero. Ma proprio perché la contemporaneità è molto com­plessa, non è possibile spiegarla con soluzioni semplicistiche, allora esortiamo lo spettatore a seguirci anche con un programma “ar­gomentato”, con tesi e antitesi, accordi e disaccordi, appunto. Tentiamo una sintesi, per far capire qualcosa in più a chi magari prima quella cosa non la sapeva. Ormai da qualche anno seguiamo questa formula e devo dire che sta funzionando. Entriamo in medias res, separiamo i fatti dalle opinioni. Il programma, in seconda serata su Nove che non è canale all-news, ha risultati importanti».

Significa che da parte del pubblico c’è effettivamente richiesta di approfondimento?
«Credo di sì. In realtà alle trasmissioni televisive sarebbe sempre demandato il compito di semplificare la complessità. Se accendo la tv è perché voglio capire i fatti, senza dover necessariamente leggere per informarmi, magari perché devo lavorare o sbrigare commissioni in famiglia. La realtà attuale è complessa, ha bisogno di interpretazioni, del resto abbiamo attraversato una pandemia quasi medioevale, poi siamo piombati in questa guerra novecentesca. Situazio­ni che non avremmo ma pensato di dover vivere».

Allora c’è bisogno di capire.
«I giornalisti sono preposti al compito di spiegare questa realtà, magari sollevando qualche dubbio. Se, come diceva Norberto Bobbio, “il potere ha il monopolio della forza”, a noi ha lasciato il monopolio della verità. Nostro compito è de­strutturare la narrazione del po­tere che altrimenti ci mette un attimo a diventare propaganda. Come nella tradizione anglosassone, la stampa è il watchdog, il cane da guardia dei cittadini nei confronti del potere, non un cane da riposo».

La tendenza generale, intanto, porta a un costante bipolarismo: o la pensi così, o così.
«Il nostro è da secoli un Paese di guelfi e ghibellini, addirittura i guelfi si dividevano in bianchi e neri, cioè fazioni e sottofazioni, come ci ricorda Dante. Un po’ come oggi le correnti nei partiti politici. Siamo sempre stati crocevia di culture, questa complessità va spiegata, ma per farlo servono giornalisti con la schiena dritta».

Lei ha scritto un libro sulla “Divina Commedia”: Dante era un italiano vero?
«Era un uomo libero che non ha esitato a sporcarsi le mani per i suoi ideali. Non rappresenta l’italianità, però la sua rappresentazione retorica, ov­ve­ro la “Divina Commedia” in quell’Italia del tredicesimo se­colo, combacia perfettamente con la società di oggi, quelle virtù, ambizioni, piccinerie e grandezze sono eternamente vive. Lo diceva bene Croce: l’uomo potrà anche andare sulla luna, ma quando si alza alla mattina i suoi problemi ri­mangono gli stes­si. Ecco perché i grandi della letteratura – i classici – sono vivi, colgono questa essenza. Dan­te ce l’aveva con tutti, era in esilio, era stato guerriero, sindaco (priore di Fi­renze), aveva una moglie, figli, era un letterato, eppure si sporcò le mani, non era indifferente al senso civico. Ce l’aveva con il papato, i potenti, ma anche con la “gente nova e i sùbiti guadagni”, ovvero i parvenu, gli stessi che oggi su Instagram mostrano i loro viaggi su voli privati… Ma non è che perché hai fatto i soldi hai diritto di legge su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Ecco, la modernità di Dante la vediamo anche così. Ci parla ancora perfino sui social».

Perché ha scritto un libro sulla bellezza?
«È un elenco di 50 cose reputate universalmente belle. Den­tro ci sono Giordano Bru­no, San Francesco, James Joy­ce, Dante Alighieri, Lev Tol­stoj, Fedor Dostoevskij. E poi frammenti letterari, pittorici, una bellezza etica. Oggi manca un senso etico nelle questioni pubbliche. Nel libro cito “Guerra e Pace” di Tolstoj, “il” libro sulla guerra che racconta l’invasione napoleonica della Russia, il contrario di quanto accade adesso. Nelle ultime 40 pagine dell’epilogo, l’autore si chiede perché un ragazzo di 18 anni debba uccidere un suo coetaneo, che neppure co­nosce. Non si dà una risposta ma dice che ogni momento storico il destino dei popoli è affidato a una manciata di potenti e se questa è sbagliata, succedono le catastrofi. Lì siamo a metà dell’Ottocento, ma sembra di essere nel 2023».

Quando lei è ospite nei talk show, vedo che non rinuncia a dire la sua. Anche se va “oltre”.
«Come abbiamo spiegato, il giornalista prima deve separare i fatti dalle opinioni, però dico la mia. Indipendente­mente da chi è al governo, valuto che la politica sia coerente: ma spesso cerca rimedi quando nascono i problemi, quando ad esempio arriva l’esondazione, poi si passa alla tragedia e la prossima volta accade di nuovo. Ossia la politica oggi ha l’inclinazione a fare trattative corporative con i soggetti coinvolti in quel momento, tipo gli alluvionati. Non si fanno progetti sistematici, si cerca di tappare la falla. Non sarebbe giusto strutturare, per esempio, una nuova diga? Sì, ma la politica non risponde. Faccio l’esempio del salario minimo: possibile che in Italia i contratti collettivi prevedano paghe da 5 euro all’ora? Questo confligge con quanto prevede l’articolo 36 della costituzione, cioè che il lavoratore deve essere retribuito in proporzione al suo lavoro e comunque con una cifra non inferiore alla garanzia di una vita dignitosa. E 5 euro non sono sufficienti. Qui se la politica non interviene sbaglia, è inutile raccontare balle. In Ger­mania si parte dai 10 euro, lo Stato deve occuparsi di chi non ce la fa».

E la questione dei migranti?
«Tema complesso, però se in campagna dici che farai il blocco navale e poi non lo fai e, non facendolo, arriva il record di sbarchi c’è qualcosa che non va. È una pratica che solo in guerra si può fare, non per ordinaria amministrazione. Poi è ingiusto che in una confederazione di 27 stati membri ce ne sia uno che per motivi geofisici, i migranti se li prende tutti lui. Ma tutti sono in perenne campagna elettorale e nessuno vuole i migranti. Così l’Europa è una mera espressione geografica, non quella immaginata da Spinelli e dai padri fondatori».

CHI È

Giornalista, ma anche scrittore (l’ultimo libro è dedicato alla bellezza), autore televisivo, conduttore e anche docente: insegna Linguaggi del giornalismo all’Università degli Studi di Parma ed è titolare di un corso sul racconto letterario e d’arte alla Scuola Holden di Torino

COSA HA FATTO

Ha scritto saggi e ha curato diverse mostre, tra queste la grande esposizione dedicata a Correggio nel 2008. Ha ideato e dirige la rivista culturale online ifioridelmale.it. Come autore televisivo si è occupato di programmi per La7 e Rai, tra questi “Servizio Pubblico” di Michele Santoro

COSA FA

Oggi è autore di diversi programmi per la piattaforma in streaming Loft e per Nove, canale nel quale conduce, assieme ad Andrea Scanzi e con la partecipazione di Marco Travaglio, il talk-show “Accordi & Disaccordi” che ha appena avviato la seconda stagione. Scrive inoltre di cultura e politica sul quotidiano «il Fatto Quotidiano»

BaNNER
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